Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 82 - pubb. 01/07/2007

Bond argentini, inadempimento, nullità e nesso di causalità

Tribunale Roma, 25 Maggio 2005. ..


Intermediazione mobiliare – Violazione degli obblighi di informazione – Nullità non espressamente previste dalla norma – Insussistenza


Negoziazione di obbligazioni argentine – Obbligo di informazione – Violazione – Inadempimento contrattuale – Nesso di causalità – Sussistenza


Intermediazione mobiliare – Obbligo di informazione dell’andamento del titolo successivamente all’acquisto – Sussistenza



Poiché il t.u.i.f. disciplina espressamente i casi di nullità relativa del contratto di intermediazione mobiliare, non è possibile ritenere che la violazione degli obblighi di informazione determini la nullità del contratto, poiché così facendo si introdurrebbero per via giudiziale nuove ipotesi di nullità non solo non previste dal legislatore, ma addirittura più gravi – trattandosi di nullità assolute – di quelle già previste dallo stesso t.u.i.f.


Qualora l’intermediario non ottemperi all’obbligo di informare il cliente delle caratteristiche specifiche dell’operazione e della eventuale non adeguatezza dell’investimento (nella specie obbligazioni argentine), si versa in ipotesi di inadempimento contrattuale idoneo, di per sé, a concorrere in modo determinante alla perdita del capitale investito.


La banca è tenuta ad informare il cliente dell’andamento del titolo anche successivamente al suo acquisto e ciò non soltanto in base al principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto ma anche a specifiche disposizioni normative quali l’art. 21, lett. b t.u.i.f. e 28, 2° co. reg. Consob.



Svolgimento del processo


Con atto di citazione notificato in data 8-9.7.2004 alla Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (d’ora in avanti, M.P.S.) ed alla Consob, V. Bianchi – premesso di aver acquistato, tramite la M.P.S., un titolo obbligazionario emesso dalla Repubblica Argentina, che prevedeva la corresponsione di ratei di interessi a scadenze prestabilite e la restituzione, alla scadenza naturale del contratto, del capitale investito al valore nominale di 15.164,77 e di non aver ricevuto, a far data dal 1.1.2002, né gli interessi né il rimborso del capitale pur essendo l’obbligazione scaduta – ha esposto che, nello svolgimento di tale operazione finanziaria, la banca aveva agito in conflitto di interessi, senza che egli avesse sottoscritto l’apposita clausola liberatoria, e, soprattutto, aveva omesso di fornire adeguate informazioni sul rischio connaturato all’acquisto di quel titolo, del quale non aveva consegnato il prospetto informativo dell’emissione, né aveva comunicato il rating fissato dalle primarie banche internazionali; infine, neppure aveva ricevuto dalla banca convenuta alcuna informazione sul progressivo peggioramento delle condizioni economiche dei soggetti emittenti, il cui tracollo finanziario aveva appreso soltanto dagli organi di informazione. Ha censurato, inoltre, l’omesso espletamento dell’attività istituzionale di vigilanza da parte della Consob, volta ad impedire che l’intermediario finanziario agisca in situazione di conflitto di interessi con il risparmiatore, nonché a garantire la stabilità dei mercati e la trasparenza delle operazioni finanziarie. Dedotta, pertanto, la responsabilità di entrambi i convenuti, ha chiesto l’annullamento del contratto concluso con la banca per errore ai sensi degli artt. 1427 ss. c.c. e la condanna solidale dei convenuti alla restituzione delle somme investite, oltre al risarcimento dei danni consistenti nella mancata percezione degli interessi sulla sorte capitale e nel mancato guadagno per non aver potuto diversamente impiegare quelle somme in altri investimenti remunerativi; “in via gradata”, nel caso non fosse stata accolta la domanda di annullamento, ha chiesto la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

La M.P.S., nella sua comparsa di risposta, ha espresso dubbi sulla competenza territoriale del tribunale adito, essendo il contratto stato stipulato presso la Filiale di Latina ed essendo la propria sede legale in Siena, ma ha anche dichiarato di non voler sollevare la relativa eccezione e chiesto il rigetto delle domande avversarie. In particolare, ha eccepito l’insussistenza del dedotto conflitto di interessi, anche perché il bond era stato venduto ad un prezzo in linea con quello di mercato; ha dedotto che l’attore, il quale aveva comunque percepito cospicui interessi dal giugno 1999, non era stato oggetto di una “sollecitazione del pubblico risparmio” ma aveva acquistato nell’ambito di una negoziazione diretta, per la quale non era richiesta la pubblicazione di un prospetto informativo; ha osservato che il titolo in questione, emesso da uno Stato sovrano, al momento dell’acquisto (giugno 1999) non presentava particolari profili di rischio né era prevedibile la successiva insolvenza della Repubblica Argentina e, comunque, il danno non era risarcibile nella misura richiesta pari al suo valore nominale, poiché i bond argentini avevano ancora un valore di mercato, ancorché fortemente ridotto. La Consob, dopo aver eccepito la mancanza di interesse ad agire dell’attore per assenza di un pregiudizio attuale, sia per non essere giunto a scadenza il titolo acquistato sia per avere la Repubblica Argentina disposto la moratoria del debito, contestualmente avviando trattative per la sua ristrutturazione, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva con riguardo alla domanda di annullamento del contratto, perché concluso con altro soggetto. Ha dedotto, comunque, l’erroneità della pretesa risarcitoria estesa al lucro cessante, dovendo invece essere il danno risarcibile limitato, stante il contenuto della domanda principale, al cd. interesse negativo. Nel merito, ha contestato le omissioni addebitate. Per un verso, ha rilevato che i prospetti informativi sono previsti solo nel caso di collocamento di titoli mediante un’attività di sollecitazione all’investimento o nel caso di quotazione degli stessi su un mercato regolamentato, mentre, nel caso di specie, nessun controllo preventivo sarebbe stato possibile, atteso che il titolo fu venduto al cliente (cd. retail) per effetto di una negoziazione con un investitore professionale successivamente ad un’attività di collocamento presso banche ed altri investitori professionali (cd. private placement). Per altro verso, ha evidenziato che la vigilanza non riguarda le singole negoziazioni ma la condotta generale dell’intermediario in ordine al rispetto, da parte sua, degli obblighi di legge nell’esercizio dei servizi resi ai risparmiatori e, pertanto, la vigilanza poteva essere esercitata soltanto in presenza di specifiche segnalazioni di inadempimenti da parte degli intermediari e, nella fattispecie, nessuna segnalazione era mai stata inviata dal Bianchi. Quest’ultimo, nella memoria di replica, ha, tra l’altro, replicato all’eccezione relativa alla propria carenza di interesse ad agire, evidenziando che le obbligazioni della Repubblica Argentina erano scadute il 18.3.2004 senza essere rimborsate, ed ha introdotto la domanda di nullità del contratto “inter partes”, in quanto le disposizioni violate dalla M.P.S., riguardanti l’acquisizione delle notizie sulla propensione al rischio del cliente e sulla mancata comunicazione del rischio insito nei bond argentini (poiché già dal 1998-1999 le principali agenzie di rating lanciavano segnali preoccupanti sulla solidità dell’economia dell’Argentina), erano da considerare “imperative” in quanto poste a tutela di princìpi di ordine pubblico (la trasparenza dei servizi finanziari, la tutela dei risparmiatori, ecc.), ai sensi dell’art. 1418 c.c..

Formulata dalla Consob e dalla M.P.S. istanza di fissazione dell’udienza di discussione, l’attore ha precisato le rispettive conclusioni con la memoria ex art. 10 del d. lgs. 5/2003. All’udienza di discussione del 2.5.2005 è stato confermato il decreto del giudice relatore, che aveva respinto tutte le richieste istruttorie avanzate dalle parti, e la causa è stata trattenuta in decisione, con riserva di deposito della sentenza nei termini di legge.


Motivi della decisione


1. - La competenza territoriale.

Il “dubbio” sollevato dalla M.P.S. sulla competenza territoriale del tribunale di Roma non si è tradotto in una eccezione vera e propria, la quale, del resto, andrebbe comunque rigettata. Infatti, fra le domande proposte nei confronti della banca e quelle nei confronti della Consob (che ha sede in Roma), sussiste connessione per l’oggetto, dal momento che – a prescindere dalla sua fondatezza, che è questione attinente al merito – l’attore ha formulato una domanda di condanna solidale dei convenuti, sia pure per titoli diversi, al risarcimento dei danni conseguenti alla conclusione del contratto di acquisto dei titoli obbligazionari. Ciò giustifica, e comunque rende opportuna anche in considerazione della parziale connessione delle questioni da decidere, la deroga alla competenza territoriale in ordine alle domande proposte nei riguardi della banca convenuta (artt. 33 e 103, co. 1, c.p.c.). Né la trattazione unitaria delle due cause comporta ritardi o rende più gravoso il giudizio, posto che il collegio è in condizione di deciderle simultaneamente.

 

2. - La legittimazione ad agire di V. Bianchi.

L’eccezione suddetta, formulata dalla Consob sul rilievo della mancanza di un pregiudizio attuale derivante dall’acquisto del titolo obbligazionario argentino e, quindi, di interesse ad agire in capo all’attore, è infondata. E’ opportuno rilevare, in proposito, che il pregiudizio non è affatto meramente potenziale, poiché, essendo il prestito pervenuto alla sua naturale scadenza il 18.3.2004, a causa del notorio tracollo finanziario dello Stato sud-americano nel dicembre 2001, non solo non sono stati più corrisposti all’attore gli interessi maturati, ma neppure è stato restituito il capitale investito al valore nominale.

 

3. - Il parziale difetto di legittimazione passiva della Consob.

L’eccezione di difetto di legittimazione passiva, formulata dalla Consob con riferimento alla domanda principale di annullamento del contratto ed a quelle connesse di restituzione e di risarcimento del danno, è fondata. In effetti, è del tutto pacifico che la suddetta convenuta non è parte del rapporto negoziale, la cui invalidità si chiede di pronunciare attraverso l’annullamento, e che non può, di conseguenza, neppure essere condannata a restituire ciò che non ricevette ovvero a risarcire un danno derivante dalla invalidità di un contratto da essa mai stipulato. La legittimazione della Consob, invece, sussiste con riferimento alla domanda risarcitoria proposta “in via gradata” (sub b delle conclusioni in citazione), qualificabile a titolo di responsabilità extracontrattuale (si rinvia al successivo punto 9 della motivazione).


4. - L’individuazione del “contratto inter-partes” cui si riferisce la domanda di nullità o di annullamento.

L’attore ha chiesto, in citazione, l’annullamento del “contratto inter partes” per errore, ai sensi degli artt. 1427 ss. c.c. e, nella memoria di replica, in via alternativa, la declaratoria di nullità dello stesso per violazione di norme imperative (art. 1418 c.c.), quali sarebbero quelle previste dagli artt. 21 del d. lgs. n. 58 del 1998 (che addossa alla banca l’obbligo di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”, di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, di “organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”) nonché dagli artt. 27, 28 e 29 (che disciplinano gli obblighi informativi nei confronti dei clienti in generale e nelle situazioni di conflitto di interessi degli intermediari) del regolamento Consob di attuazione (adottato con delibera n. 11522 del 1.7.1998).

Si osserva, preliminarmente, che, sebbene l’attore non abbia individuato con chiarezza il “contratto inter partes” che ha chiesto di annullare o di dichiarare nullo - non è chiaro, infatti, se si tratta del c.d. contratto generale di prestazione dei servizi di investimento (in dottrina denominato come contratto-base, quadro o normativo) prodotto dalla M.P.S. (doc. 3), disciplinato (sulla base dell’art. 23 del t.u.i.f.) dall’art. 30 del reg. Consob citato, dal quale sorge un complesso rapporto obbligatorio tra le parti avente ad oggetto la prestazione dei servizi di investimento (v. art. 1, co. 5, t.u.i.f.); ovvero della c.d. “transazione del 8.6.1999” (v. pag. 14 della comp. concl. attorea) che corrisponde al “fissato bollato n. 666111” nel quale si legge: “La Banca [del Salento, oggi M.P.S.] vende al nominativo sopraindicato…” il titolo argentino scadente il 18.3.2004, al controvalore di euro 15.163,77; ovvero del c.d. ordine di acquisto dato dal cliente alla banca -, l’interpretazione della domanda in senso non formalistico ma orientata a valorizzare la volontà sostanziale della parte, consente di individuare l’oggetto delle domande nel singolo contratto di acquisto del bond argentino. Infatti, da un lato, non sembra che l’attore abbia interesse all’annullamento o alla dichiarazione di nullità né del contratto c.d. generale di prestazione dei servizi di investimento (essendo il pregiudizio della perdita del capitale investito riferito ad un momento successivo attinente alla fase di esecuzione di un rapporto obbligatorio già in essere tra le parti), né del c.d. ordine di acquisto. A prescindere dalla dubbia natura giuridica di quest’ultimo (peraltro nemmeno prodotto in giudizio), si osserva che la causa del lamentato vizio del consenso e della dedotta nullità è ravvisata nella violazione delle sopra richiamate disposizioni che riguardano obblighi informativi posti in capo alla banca (almeno in parte e formalmente) in un momento temporalmente successivo non solo al contratto generale di investimento di cui s’è detto ma anche all’ordine od alle istruzioni date dal cliente, ai sensi dell’art. 30, lett. c, del reg. Consob (e ciò, del resto, è coerente con numerose disposizioni del medesimo regolamento: l’art. 32, co. 5, prevede che gli intermediari, al momento della ricezione dell’ordine dell’investitore, gli comunicano il prezzo al quale sono disposti a comprare o a vendere gli strumenti finanziari ed eseguono la negoziazione contestualmente all’assenso dell’investitore; l’art. 27 pone a carico della banca obblighi informativi che, nei casi di conflitti di interesse, possono concretizzarsi soltanto rispetto a singole operazioni concrete, e così gli art. 28, co. 2, e 29, co. 3, il quale ultimo impone alla banca di segnalare la inopportunità di effettuare le operazioni ordinate dal cliente quando non adeguate, ecc.); è anche significativo che, laddove la legge ha voluto prevedere specifici casi di nullità dell’ordine, lo ha fatto espressamente (v. l’art. 11, co. 3, della abrogata legge n. 1 del 1991, peraltro nel solo caso degli ordini contenuti in moduli o formulari predisposti dall’intermediario). Pertanto, se è vero che il “fissato bollato”, previsto a scopi meramente tributari, non individua il contratto ma ne dimostra soltanto l’esistenza in un atto diverso che la parte interessata ad invalidarlo avrebbe l’onere di individuare (v. Cass. n. 1547/1995), nel caso in esame l’esistenza del contratto di acquisto del bond argentino non è contestata e, pertanto, su di esso l’esame del collegio deve concentrarsi. Del resto, la natura negoziale dei singoli contratti di acquisto è implicitamente (ma non per questo meno chiaramente) desumibile dal t.u.i.f., il cui Allegato-Sezione A, nell’individuare i servizi di investimento ed accessori (i quali anche, si noti, costituiscono oggetto del contratto di cui parla l’art. 23 del t.u.i.f.), si riferisce, tra gli altri, anche alle (successive e singole) negoziazioni di strumenti finanziari per conto proprio o di terzi (n. 2-3) nonché all’attività di ricezione ed esecuzione degli ordini del cliente (n. 1-2), e, nell’Allegato-Sezione C, ai servizi accessori di custodia ed amministrazione dei medesimi strumenti finanziari (n. 1). È significativo, in tal senso, che per “esecuzione di ordini per conto dei clienti” si intende proprio la “conclusione di accordi di acquisto o di vendita di uno o più strumenti finanziari per conto dei clienti” (v. art. 4 n. 5 della direttiva 2004/39/CE, relativa ai mercati degli strumenti finanziari) e che la forma scritta - introdotta dalla legge n. 1 del 1991 “per i soli contratti quadro stipulati tra il cliente e la SIM” - è oggi “prevista anche per le singole operazioni dall’art. 18 del d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, oggi sostituito dall’art. 23 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58” (v., in termini, Cass. n. 3956/2003 in motiv.).

 

5. - La domanda di nullità.

Seguendo l’ordine delle domande proposte dall’attore, va innanzi tutto esaminata quella volta alla declaratoria di nullità del contratto di acquisto del titolo obbligazionario argentino. Essa è senza dubbio inammissibile, in quanto proposta per la prima volta soltanto con la memoria di replica di cui all’art. 6 del d. lgs. n. 5/2003. Trattandosi di una domanda nuova, formulata senza essere conseguenza di domanda riconvenzionale o delle difese di alcuno dei convenuti (art. 6, comma 2, lett. b, del d. lgs. cit.), la decadenza in cui è incorso l’attore è rilevabile d’ufficio, senza necessità di accertare se i convenuti abbiano o meno sollevato tempestivamente una specifica eccezione di decadenza, la quale, infatti, è necessaria soltanto per le domande nuove proposte (tardivamente) dall’attore in conseguenza di domanda riconvenzionale o delle difese del convenuto (art. 13, co. 4, del d.lgs. cit.). Più specificamente, l’introduzione dell’azione di nullità si manifesta come una nuova doglianza contro l’operato della banca convenuta, il cui dedotto inadempimento agli obblighi di informazione e di valutazione dell’adeguatezza dell’operazione viene qualificato come condotta posta in essere in violazione di norme imperative. Del resto, la novità dell’azione di nullità rispetto a quella di annullamento si ricava dai princìpi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “nullità e annullabilità sono forme di invalidità nettamente distinte quanto a presupposti, disciplina e conseguenze e deve escludersi che l’una azione sia compresa nell’altra o siano tra loro in rapporto di fungibilità anche quando siano fondate sui medesimi fatti” (Cass. n. 8285/1999) ed inoltre “la domanda di annullamento di un negozio, comportando una pronuncia costitutiva, in quanto produttiva, nei rapporti tra le parti, di una situazione giuridica nuova, non può considerarsi compresa in quella di accertamento della nullità del negozio medesimo …, neppure quando sia fondata sui medesimi fatti, dal momento che da questa domanda si distingue per il petitum radicalmente diverso” (Cass. n. 3356/1993).La domanda di nullità, che si esamina per completezza espositiva, è comunque infondata per le seguenti ragioni.

a) Il riferimento da parte dell’attore al carattere imperativo delle citate disposizioni del t.u.i.f. e del reg. Consob (a sua volta desunto dalla natura pubblicistica degli interessi protetti, ai sensi dell’art. 47 Cost.) non è di certo sufficiente ad integrare l’ipotesi della nullità del contratto, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c.. Non solo perché occorrerebbe dimostrare che tale causa di nullità riguardi la fase genetica di formazione e non, come invece sembra preferibile, quella (successiva) di esecuzione del c.d. contratto-quadro o generale di investimento ovvero dei singoli negozi o “accordi di acquisto o di vendita” di strumenti finanziari, ma perché le citate disposizioni sono prescrittive o impositive di obblighi di comportamento (cioè di informazione attiva e passiva) cui la banca è tenuta in forza di un vincolo negoziale già sorto, non rilevando, di regola, ai fini della validità del contratto, il carattere più o meno doveroso (ovvero l’esistenza di un interesse pubblico al corretto adempimento) di quegli obblighi, i quali rappresentano una specificazione del generale dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (v., in generale, Cass. n. 108/1997), la cui violazione, com’è noto, non si traduce in causa di invalidità dello stesso (v., anche di recente, Cass. n. 5974/2005).

b) L’obiezione che si potrebbe muovere a questa impostazione è che le nullità c.d. virtuali sono ormai riconosciute nel nostro ordinamento, come sarebbe dimostrato dalla giurisprudenza che, ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c. (a differenza delle ipotesi di nullità tipizzate nell’art. 1418, co. 2 e 3, c.c.), non si sottrae al compito interpretativo di ravvisare in concreto la natura imperativa o dispositiva delle norme violate, a seconda del carattere  pubblicistico o meno degli interessi protetti, facendone discendere la conseguenza della nullità (per violazione di norma imperativa) nel primo caso. A dimostrazione di siffatta obiezione vengono richiamate alcune pronunce della Cassazione riguardanti proprio la materia dell’intermediazione dei valori mobiliari (v. sent. n. 3272, 5114 e 3753 del 2001). Tuttavia, è facile replicare che tali pronunce riguardano casi di “difformità tra fattispecie e schema normativo” (per usare le parole di Cass. n. 5114/2001), cioè di contrasto - accertato all’esito di un confronto per così dire “statico” - tra modello negoziale configurato dalla legge in astratto (con riguardo, ad esempio, ai requisiti soggettivi che devono essere posseduti da uno dei contraenti) e fattispecie realizzata dalle parti in concreto (in particolare, le sopra citate pronunce della Suprema Corte riguardavano contratti di intermediazione mobiliare conclusi da società non abilitate in quanto non iscritte nell’albo delle SIM). Del tutto diverso è il caso in esame, nel quale le disposizioni violate prescrivono obblighi comportamentali di cui si deve accertare in concreto l’esatto adempimento da parte della banca, alla luce dei parametri di diligenza stabiliti dalla legge (art. 1176, co. 2, c.c.), nell’ambito di un giudizio di responsabilità da inadempimento (v., in questo senso, anche Trib. Roma, 11/31.3.2005, in causa r.g n. 3841/2004; Trib. Roma, 8/27.10.2004 n. 29207, in causa r.g. n. 10071/2004). È significativo che l’attore deduca proprio l’inadempimento della banca, la quale, secondo i princìpi generali in materia, potrebbe dimostrare di avere agito con la diligenza richiesta dalla legge, ai sensi degli artt. 23, co. 6, del t.u.i.f. e 1218 c.c., cioè di avere acquisito le informazioni sugli strumenti finanziari ed i servizi di finanziamento offerti ai clienti, sulla loro esperienza e propensione al rischio (c.d. informazione passiva) e di averli informati sulle caratteristiche e la adeguatezza o non-adeguatezza delle singole operazioni finanziarie di investimento (c.d. informazione attiva).

c) Il t.u.i.f. disciplina analiticamente i casi di nullità del contratto di intermediazione mobiliare (per mancanza di forma scritta e per rinvio agli usi) come nullità relative che possono essere fatte valere solo dal cliente (v. art. 23, co. 3, e, per i servizi di gestione di portafogli di investimento, l’art. 24) e, quindi, non dalla banca (né sono rilevabili d’ufficio dal giudice). Ritenere, invece, che la violazione degli obblighi di informazione determini la nullità del contratto di intermediazione mobiliare, significa introdurre per via giudiziale una nuova ipotesi di nullità, non solo, non prevista dal legislatore (che pure quegli obblighi di informazione ben conosceva avendoli introdotti negli artt. 6, co. 2, e 21 del t.u.i.f.) ma, soprattutto, più grave delle nullità che lo stesso t.u.i.f. ha previsto come (nullità) soltanto relative (v. anche l’art. 127, co. 2, del d. lgs. n. 385 del 1993). Si tratterebbe, infatti, di una nullità assoluta rilevabile d’ufficio dal giudice a vantaggio o svantaggio del cliente (art. 1421 c.c.), in evidente contrasto con la ratio delle normative di origine comunitaria protettive dei consumatori (qual è quella in esame).

 

6. - La domanda di annullamento del contratto per errore.

L’attore ha chiesto l’annullamento del “contratto inter partes” per vizio del consenso e, in particolare, per errore essenziale e riconoscibile dalla banca (che avrebbe dovuto informarlo dei rischi dell’investimento) sull’oggetto ovvero su una qualità essenziale del bond argentino (art. 1429, n. 1 e 2, c.c.). La domanda è infondata.

a) Pur ammettendo, in astratto, che l’inadempimento della banca agli obblighi informativi in ordine al rating del titolo ecc., abbia inciso sulla formazione del consenso negoziale, viziandolo e provocando nell’attore un errore nell’acquisto del titolo, non ne è dimostrata la essenzialità né la riconoscibilità (art. 1428 c.c.). a 1) Premesso che la parte che chiede l’annullamento del contratto per errore “non può limitarsi ad affermare la qualità essenziale di quel vizio, ma ha l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta” (v. Cass. n. 3378/1993), l’attore avrebbe dovuto dimostrare che, “secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze”, l’errore verteva proprio sull’identità ovvero su una qualità dell’oggetto della prestazione (art. 1429, n. 2, c.c.), intesa nel senso di conformazione giuridica e materiale del titolo acquistato, e non già sulla maggiore o minore convenienza economica dell’affare, che è ipotesi certamente estranea alla previsione degli artt. 1427 ss. c.c. (v. Cass. n. 5139/2003; 5900/1997; 5773/1996; 9067/1995). E, comunque, trattandosi di vizio determinante la formazione della volontà negoziale, l’attore avrebbe dovuto dimostrare che, qualora avesse ricevuto le informazioni dovute al momento della contrattazione del titolo, non lo avrebbe certamente acquistato, essendo quindi irrilevante (ai fini dell’errore richiesto per l’annullamento del contratto) il successivo andamento (e peggioramento) del titolo stesso. In quel momento, cioè nel giugno 1999, cui l’attore si riferisce, il rating del bond argentino aveva una affidabilità “insufficiente”, essendo classificato nella categoria (speculativa) BB in Standard&Poor’s e Ba3 in Moody’s. Tale unica circostanza, tuttavia, non è sufficiente ad integrare un errore essenziale tale da far ritenere che l’attore non lo avrebbe certamente acquistato, trattandosi di categoria nella quale rientravano i titoli emessi da numerosi paesi c.d. emergenti, caratterizzati sia da oscillazioni anche sensibili nelle quotazioni di mercato sia da alta redditività, cui è spesso collegata proprio la loro appetibilità da parte degli investitori, nonostante l’alea connaturata in questa tipologia di investimenti (dal fissato bollato risulta che il tasso lordo degli interessi era del 10,5%). Seppur al limitato fine della ricerca di un errore rilevante (essenziale e riconoscibile) ai sensi degli artt. 1427 ss. c.c., si deve considerare che nella scheda di propensione al rischio sottoscritta dal Bianchi, egli dichiarò di avere una esperienza finanziaria “approfondita” ed una propensione al rischio “alta” (v. doc. 3/fasc. M.P.S.). Soltanto nell’ottobre del 1999 i bond argentini furono declassati da Moody’s in categoria B1 (affidabilità “bassa”) e soltanto nel marzo 2001 da Standard&Poor’s in categoria B+ (affidabilità “bassa”) (v. anche pag. 5 della Relazione dell’audizione della Consob alla Camera dei Deputati in data 27.4.2004). a 2) Trattandosi di errore irrilevante in quanto non essenziale, non è necessario valutarne la riconoscibilità, la quale, peraltro, per tutto quanto poc’anzi detto, non sembra sussistere in capo alla banca con riferimento al giugno 1999.

b) Anche ravvisando un errore essenziale riconoscibile, tuttavia, l’azione di annullamento sarebbe infondata. In citazione (pag. 1) si legge che “a far data dal 1.1.2002… la Repubblica Argentina ha cessato di corrispondere gli interessi… e l’obbligazione, già scaduta [in data 18.3.2004], non è stata affatto rimborsata”. Ne consegue che per due anni e sei mesi circa (dal mese di giugno 1999) l’investitore ha realizzato profitti e, quindi, l’investimento nel titolo argentino ha avuto piena e normale esecuzione. Ciò esprime in modo implicito, ma pur sempre chiaro ed univoco, la volontà della parte di convalidare tacitamente il negozio annullabile, ai sensi dell’art. 1444 c.c. (l’ammissibilità della convalida tacita è ammessa dalla giurisprudenza: v., tra le altre, Cass. n. 4441/2001, 2029/1982, 5860/1981, 2738/1970).

Il rigetto delle domande di annullamento e di nullità del contratto determina il rigetto (ovvero l’assorbimento) anche delle conseguenziali domande di restituzione del capitale investito (pari ad euro 15.000,00) e di risarcimento dei danni (stimati in euro 3.000,00) per la “mancata percezione degli interessi sulla sorte capitale” ed il “mancato guadagno per non aver diversamente impiegato le relative cifre in altri investimenti remunerativi”.

 

7. - La domanda “in via gradata ed ulteriore” di condanna al risarcimento. La responsabilità della M.P.S. da inadempimento.

La domanda in esame (sub b delle conclusioni) dev’essere qualificata come di responsabilità contrattuale da inadempimento alle obbligazioni cui la banca è tenuta ex lege nei confronti del cliente “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori” (art. 21, co. 1, t.u.i.f.) già per effetto del contratto generale di investimento e, comunque, del contratto di acquisto del bond argentino.

a) L’attore ha dedotto, del tutto genericamente, la situazione di conflitto di interessi in capo alla M.P.S. nella negoziazione del titolo argentino in quanto detenuto dalla banca nel proprio portafoglio, richiamando l’art. 21, lett. c), del t.u.i.f. (a norma del quale i soggetti abilitati devono “organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento”) e l’art. 27 del reg. Consob (“Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione”). Questo profilo della domanda è infondato. È necessario premettere che la negoziazione per conto proprio - che consiste nell’attività di acquisto (per la rivendita) e di vendita per conto proprio di strumenti finanziari, con lo scopo per la banca di realizzare una differenza (spread) tra prezzi di acquisto e quelli di vendita - è attività legittima e regolamentata dall’ordinamento (v. art. 1, co. 5, lett. a, del t.u.i.f. e art. 32, co. 5, del reg. Consob) e, pertanto, non integra di per sé un’attività in conflitto di interessi. La Consob, nella Comunicazione n. DAL/97006042 del 9.7.1997, ha chiarito che “una ipotesi di conflitto di interessi non può essere individuata - a priori - in tutti i casi in cui l’intermediario negozia in contropartita diretta con la propria clientela strumenti finanziari”. Nel caso in esame, dal fissato bollato risulta e, comunque, non è contestato (non avendo l’attore offerto alcuna specifica allegazione in senso contrario) che la M.P.S. ha venduto il bond argentino al Bianchi (che ha accettato), senza applicare alcuna commissione, nell’ambito di una negoziazione in conto proprio disciplinata dall’art. 32, co. 5, del reg. Consob più volte citato (“Nella prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio gli intermediari autorizzati comunicano all’investitore, all’atto della ricezione dell’ordine, il prezzo al quale sono disposti a comprare o a vendere gli strumenti finanziari ed eseguono la negoziazione contestualmente all’assenso dell’investitore; sul prezzo pattuito non possono applicare alcuna commissione”). La circostanza (peraltro non dimostrata) che la banca già detenesse il titolo nel proprio portafoglio – in mancanza di qualsiasi allegazione in ordine ad un profilo di danno subito dal cliente (il quale, inoltre, nulla ha replicato all’affermazione della M.P.S. di avere venduto il bond ad un prezzo in linea con quello di mercato) – non è di per sé decisiva per ravvisare un conflitto di interessi, poiché, nelle negoziazioni eseguite per conto proprio, l’intermediario, agendo in qualità di dealer, può “preleva(re) il titolo dal proprio portafoglio” (v. Comunicazione Consob n. DI/99014081 del 1.3.1999). Né, in considerazione delle gravi carenze nelle allegazioni dell’attore sul punto, potrebbe pervenirsi a conclusioni diverse richiamando quanto stabilito, in materia, dall’art. 23, co. 6, del t.u.i.f.: “Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”. Questa disposizione, infatti, opera esclusivamente sul piano probatorio, nel senso che introduce (o, ad avviso di una dottrina, rafforza) la regola (già presente in ambito contrattuale, ai sensi degli artt. 1218 e 1176 c.c.) secondo cui l’onere della prova dell’esatto e corretto adempimento (ovvero della causa non imputabile dell’inadempimento) è a carico del debitore (cioè, in questo caso, della banca), a vantaggio del creditore (cliente). Essa non introduce alcuna inversione o facilitazione dell’onere - che, secondo i princìpi generali, è a carico di chi agisce in giudizio - di precisa allegazione dei fatti costitutivi della domanda, soltanto all’esito della quale può scattare l’onere probatorio (contrario) posto a carico del debitore o, in alternativa, operare il meccanismo della non-contestazione.

b) L’attore, inoltre, ha dedotto l’inadempimento della M.P.S. alla c.d. suitability rule, in base alle quale essa avrebbe dovuto informarlo della non-adeguatezza dell’investimento, con la conseguenza che deve ritenersi responsabile del danno cagionato, ai sensi dell’art. 21, lett. a (che impone ai soggetti abilitati, ai sensi dell’art. 1 lett. r, di “comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”) e lett. b (di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”) del t.u.i.f..

La domanda sul punto è fondata. In attuazione delle sopra citate disposizioni del t.u.i.f., il reg. Consob n. 11522/1998 ha previsto l’obbligo dei soggetti abilitati di “chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio” e di consegnargli “il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari” (art. 28, co. 1 e All. n. 3). Si è già detto che il Bianchi dichiarò di avere una esperienza finanziaria “approfondita” ed una propensione al rischio “alta”, mentre nessuna informazione gli fu chiesta (né fu data) in ordine alla “sua situazione finanziaria” ed ai “suoi obiettivi di investimento”. Pertanto, da un lato, il suddetto documento (peraltro privo di data) sottoscritto dal Bianchi sui rischi generali degli investimenti (che è ben diverso sia dal prospetto di sollecitazione di cui all’art. 94 del t.u.i.f. sia dal prospetto di quotazione di cui all’art. 113 del t.u.i.f.), non corrisponde alle caratteristiche richieste dalla normativa citata. Dall’altro lato, soprattutto, la M.P.S. è stata inadempiente all’obbligo di fornire all’investitore “informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (art. 28, co. 2, del reg. Consob). È costante, infatti, in giurisprudenza l’affermazione che non vale ad assicurare l’adempimento degli obblighi informativi a carico della banca “la circostanza che agli investitori sia stato consegnato il documento sui rischi generali degli investimenti finanziari, trattandosi di informativa del tutto generica che non garantisce quella conoscenza concreta ed effettiva del titolo negoziato che l’intermediario deve assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi dell’investimento compiuto” (v., in tal senso, Trib. Roma, 8/27.10.2004 n. 29207, citata). La banca non è mero e passivo esecutore degli ordini di acquisto del cliente ma ha il preciso obbligo di informarlo delle caratteristiche specifiche dell’operazione (comunicandogli e spiegandogli, tra l’altro, il grado di affidabilità del titolo secondo le agenzie di rating) e della eventuale non-adeguatezza dell’investimento richiesto, come previsto dall’art. 29, co. 1, del reg. Consob, che pone a carico degli intermediari l’obbligo di astenersi “dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, frequenza o dimensione”. Se è vero che, a tal fine, gli intermediari “tengono conto delle informazioni” ricevute preventivamente sui rischi generali del cliente “e di ogni altra informazione disponibile” (v. art. 29, co. 2), è anche vero che la non-adeguatezza dell’operazione deve essere comunque segnalata dagli intermediari, i quali devono fornire a qualsiasi investitore chiare informazioni anche delle “ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione” e solo “qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione … possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto” (art. 29, co. 3). Ciò che può mutare è soltanto il quomodo dell’assolvimento dei suddetti obblighi informativi: le modalità di acquisizione dal cliente delle informazioni relative alla sua situazione finanziaria od ai suoi obiettivi di investimento, nonché le modalità di esplicitazione delle informazioni sull’esistenza di interessi in conflitto, sulle caratteristiche e sull’adeguatezza della specifica operazione richiesta, ben possono variare a seconda che l’intermediario abbia a che fare con un investitore occasionale ovvero con un risparmiatore aduso all’impiego del denaro in valori mobiliari oppure ancora con un esperto speculatore. È significativo che l’obbligo degli intermediari di valutare l’adeguatezza dell’operazione non viene meno nemmeno nel caso in cui il cliente abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio (v. Comunicazione Consob n. DI/30396 del 21.4.2000). Né, del resto, é dimostrato il possesso da parte del Bianchi di quei requisiti di particolare professionalità nel settore finanziario richiesti dalla (successiva) direttiva del 21.4.2004/39/CE (All. II) ai fini dell’attenuazione del livello di protezione dei risparmiatori e, quindi, degli obblighi informativi in capo agli intermediari.

L’inadempimento della banca ha concorso in modo determinante alla perdita del capitale investito, che il Bianchi avrebbe potuto evitare qualora fosse stato adeguatamente informato delle caratteristiche specifiche e, di conseguenza, della non-adeguatezza dell’investimento nel titolo argentino (il cui rating era “insufficiente” già nel giugno 1999). La possibile obiezione secondo cui non vi sarebbe certezza che, nel giugno 1999, egli avrebbe evitato quell’investimento qualora fosse stato adeguatamente informato, non coglie nel segno. Infatti, il comportamento della banca dev’essere qui valutato in executivis, cioè sotto il profilo dell’inadempimento alle obbligazioni ormai assunte con il contratto, sebbene (quello di acquisto del titolo) sia stipulato nella forma (che, a prima vista, potrebbe ricordare la fattispecie di cui all’art. 1327 c.c.) dell’accettazione implicita mediante l’esecuzione dell’ordine del cliente da parte della banca (come si desume dall’art. 4 n. 5 della direttiva 2004/39/CE, che individua nella “esecuzione di ordini per conto dei clienti” il momento della “conclusione di accordi di acquisto o di vendita di uno o più strumenti finanziari per conto dei clienti”). Ciò, infatti, non impedisce di distinguere teoricamente la fase formativa del consenso negoziale da quella di adempimento del contratto, come nel caso della violazione degli obblighi informativi veicolati ex art. 1374 c.c. nel negozio (sia esso quello c.d. generale o quello di acquisto del singolo titolo). Non bisogna chiedersi se il Bianchi avrebbe o meno contrattato, come se dovessimo valutare l’esistenza di un vizio nella formazione del consenso negoziale. L’esistenza di un tale vizio è stata già esclusa secondo i severi parametri codicistici. E tuttavia ciò non esclude affatto la rilevanza causale dell’accertato inadempimento della banca nella produzione del danno lamentato. Da un lato, per l’illegittima compressione della libertà di autodeterminazione negoziale subita dal Bianchi nella scelta dell’investimento adeguato (anche sotto il profilo della sua mera convenienza economica). Dall’altro lato, per la lesione del suo interesse (creditorio) alla conservazione dell’integrità patrimoniale, cui dev’essere ragguagliata la valutazione economica (ex art. 1174 c.c.) della prestazione inadempiuta dalla banca avente ad oggetto gli obblighi informativi nei confronti degli investitori. Il nesso causale tra inadempimento contrattuale e danno è accertato, non avendo, del resto, la M.P.S. - sulla quale (nell’interpretazione data da una dottrina all’art. 23, co. 6, del t.u.i.f.) ricadeva l’onere - offerto alcuna concreta e specifica allegazione (e prova) contraria. Inoltre, è importante considerare che la banca era tenuta ad informare il cliente sull’andamento del titolo anche successivamente al suo acquisto. Non soltanto in base al principio generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.) ma anche in base a specifiche disposizioni normative. L’art. 21, lett. b, del t.u.i.f. (che costituisce norma primaria rispetto al regolamento Consob), nell’imporre agli intermediari di “operare in modo che [i clienti] siano sempre adeguatamente informati”, al fine di consentire ad essi di effettuare “consapevoli scelte di investimento o disinvestimento” (art. 28, co. 2, del reg. Consob), si riferisce ai servizi di investimento indicati all’art. 1, co. 5, del t.u.i.f. senza alcuna distinzione tra le varie tipologie di servizi (tra cui rientrano anche le negoziazioni di strumenti finanziari per conto proprio e di terzi). Nessuna informazione la banca ha dato al cliente del crollo del titolo argentino a partire dal mese di ottobre del 1999 in cui fu declassato da Moody’s in categoria B1 (affidabilità “bassa”) e nemmeno dopo il marzo 2001 quando fu declassato anche da Standard&Poor’s ed ulteriormente da Moody’s (in categoria B2).

 

8. - Il risarcimento dei danni.

L’attore ha chiesto il risarcimento dei “danni tutti prodotti dagli eventi per cui è causa, quantificati in € 18.000,00” (conclusioni in citazione sub b), importo corrispondente al valore nominale del capitale investito ed al danno per la “mancata percezione degli interessi sulla sorte capitale” ed il “mancato guadagno per non aver diversamente impiegato le relative cifre in altri investimenti remunerativi”, oltre “interessi legali da computarsi dalla domanda al saldo”.

Il danno da risarcire corrisponde alla perdita del capitale investito pari ad euro 15.164,77, che, infatti, al momento della scadenza naturale del titolo (18.3.2004) e della presente decisione, non è stato restituito. Trattandosi di obbligazione di valore, il predetto importo dev’essere rivalutato, secondo gli indici Istat per le famiglie di operai ed impiegati, dal 1.1.2002 (indice: 1,0721) ad oggi ed ascende così ad euro 16.258,14. Infatti, nel gennaio 2002 (da cui l’attore non ha più percepito le cedole degli interessi) si è definitivamente realizzata la perdita del capitale investito (e, quindi, il danno), a causa dell’insolvenza dello Stato argentino che decise di congelare il pagamento degli interessi ed il rimborso del capitale sui titoli in valuta estera. Non può essere riconosciuta, invece, la voce di danno relativa agli interessi non percepiti sino alla scadenza naturale del titolo (marzo 2004), non solo perché la perdita della sorte capitale ha determinato l’estinzione dell’obbligazione accessoria relativa agli interessi, ma anche per mancanza di prova in ordine alla periodicità ed alle caratteristiche del tasso degli interessi pattuito. È dovuto, inoltre, il risarcimento del danno (c.d. da lucro cessante) per il ritardo nella liquidazione del dovuto e per la perdita della possibilità di effettuare altri investimenti remunerativi, il quale può essere risarcito, in via equitativa, in misura pari agli interessi legali sull’importo di euro 15.711,45 (che corrisponde alla semisomma tra euro 16.258,14 ed euro 15.164,77) dal gennaio 2002 ad oggi: ne risulta l’importo di euro 1.499,12, che, sommato ad euro 16.258,14, fa ascendere l’importo complessivo dovuto al Bianchi, a titolo risarcitorio, ad euro 17.757,26, oltre interessi legali dalla data odierna al saldo.

 

9. - La domanda di condanna risarcitoria nei confronti della Consob.

Si è detto che la suddetta domanda (sub b delle conclusioni in citazione) va qualificata come richiesta di risarcimento del danno da illecito aquiliano (art. 2043 c.c.), posto che nessun rapporto contrattuale è intercorso fra le parti e che l’attore sostanzialmente lamenta la violazione del dovere di vigilanza istituzionale che la Commissione avrebbe dovuto esercitare, a suo dire, sull’altra convenuta e, quindi, quale responsabile di una condotta (omissiva) che avrebbe concorso nella verificazione del danno. La tesi attorea di una responsabilità della Consob per mancata vigilanza nella verifica della attendibilità e completezza delle informazioni diffuse sul mercato tramite il “prospetto informativo” autorizzato dalla Commissione, ai sensi dell’art. 94 del t.u.i.f., è infondata. Infatti, ad avviso della Consob, per il titolo acquistato dal Bianchi (cui si riferiscono le domande proposte nel presente giudizio), non sarebbe stato pubblicato un prospetto, la cui necessità è richiesta dalla legge nei casi di “sollecitazione all’investimento”, con cui si intende “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari” (art. 1, co. 1, lett. t, del t.u.i.f.). Non è contestato tra le parti che il titolo obbligazionario argentino acquistato dall’attore non era oggetto di un’attività di “sollecitazione all’investimento” o di collocamento diretto (in prima battuta) al pubblico indistinto ma soltanto alle banche ed agli altri investitori professionali (c.d. private placement) e, in questo caso, la legge non prevede la necessità di ricorrere alla pubblicazione di un prospetto informativo da sottoporre al controllo preventivo della Consob; né era previsto il c.d. prospetto di quotazione, trattandosi di titoli non ammessi alla quotazione su un mercato regolamentato (art. 113 del t.u.i.f.; v., invece, come  esempio di prospetto informativo, il doc. 8 prodotto dalla Consob). Nessuna disposizione vieta poi a questi soggetti professionali di vendere ed acquistare i titoli (in seconda battuta) nell’ambito di successive negoziazioni individuali con il pubblico dei risparmiatori (c.d. retail), attività questa sottoposta alla disciplina generale sulla prestazione dei servizi di investimento (art. 1, co. 5, lett. a-b, del t.u.i.f.) (v. anche pag. 9 ss. della Relazione dell’audizione della Consob alla Camera dei Deputati in data 27.4.2004). Ne consegue che la responsabilità della Consob potrebbe essere invocata non già per il non corretto esercizio del potere autorizzatorio avente ad oggetto operazioni di offerta al pubblico di strumenti finanziari (come nel caso, esaminato da Cass. n. 3132/2001, di non veridicità del prospetto informativo) ma in ipotesi di mancato esercizio dei poteri regolamentari in materia di obblighi comportamentali dei soggetti abilitati ovvero dei poteri di ispezione e di vigilanza strumentali all’emanazione dei provvedimenti sanzionatori (artt. 195 e 196 del t.u.i.f.) ed ingiuntivi nei confronti degli intermediari “quando le violazioni commesse possano pregiudicare interessi di carattere generale” e “nei casi di urgenza per la tutela degli interessi degli investitori” (art. 51, co. 2, lett. a-b, del t.u.i.f.).

Escluso che la vigilanza alla quale fa riferimento l’attore possa identificarsi in quella regolamentare prevista dall’art. 6, co. 2, del t.u.i.f., dal momento che la Consob ha emanato la normativa rimessa alla sua specifica competenza adottando la delibera (c.d. reg. Consob) cui si è fatto costante riferimento, il potere di vigilanza è qui inteso con riferimento ai poteri-doveri di acquisizione di informative di eventuali condotte irregolari degli intermediari (art. 8, v. anche co. 6, del t.u.i.f), di ispezione ed esibizione di documenti da parte degli intermediari stessi, nonché di compimento, presso di loro, degli atti ritenuti necessari (artt. 10 e 12 del t.u.i.f.) per assicurare la tutela degli interessi affidati alla sua cura (trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari a tutela degli investitori, ai sensi dell’art. 5 del t.u.i.f.). A parte ogni considerazione circa l’assenza di indicazione, da parte dell’attore, delle specifiche omissioni in cui la Consob sarebbe incorsa nella fattispecie concreta, si deve considerare che, anche per le obiettive necessità organizzative dovute all’impossibilità di avere immediata cognizione delle condotte anomale degli intermediari nell’ambito delle innumerevoli negoziazioni con i singoli risparmiatori, i suddetti poteri di vigilanza possono essere esercitati in presenza di segnalazioni di specifici inadempimenti degli intermediari agli obblighi comportamentali previsti dall’art. 21 del t.u.i.f., provenienti da soggetti privati qualificati (collegi sindacali delle società di intermediazione finanziaria abilitate, società di revisione contabile ecc., ai sensi dell’art. 8 del t.u.i.f.) ovvero dalla stessa Banca d’Italia (che, dal canto suo, deve operare in modo coordinato con la Consob, cui è tenuta a segnalare le irregolarità rilevate nell’esercizio dell’attività di vigilanza, ai sensi degli artt. 5, co. 5, e 10, co. 2, del t.u.i.f.) ma anche da risparmiatori e loro associazioni. In mancanza di specifica allegazione e prova che (all’epoca della contrattazione ovvero successivamente ma comunque in tempo utile per intervenire, prima del default della Repubblica Argentina) fosse comunque informata delle violazioni comportamentali delle banche intermediarie (e, in particolare, della M.P.S.) nei confronti dei risparmiatori, non è possibile affermare la responsabilità civile della Consob. Nel carente contesto in esame, caratterizzato da gravi lacune nelle allegazioni e nelle prove offerte dall’attore, di scarsa utilità è l’affermazione (tratta dalla Relazione dell’audizione della Consob alla Camera dei Deputati in data 27.4.2004) secondo cui l’ente di vigilanza avrebbe dovuto attivarsi a seguito della constatazione dell’andamento progressivamente decrescente (segno di un “progressivo e costante disinvestimento”) dello stock dei titoli argentini detenuti dalle banche nel periodo dal 31.1.2000 al 30.11.2003. S’è detto che le violazioni attribuite alle banche - e dimostrate in capo alla M.P.S. - consistono non già, di per sé, nell’aver venduto i bond argentini ma nel non avere adempiuto, nell’ambito delle negoziazioni dirette con gli investitori, agli obblighi informativi posti a loro carico. Né sarebbe utile richiamare il principio dell’inversione dell’onere probatorio sancito dall’art. 23, co. 6, del t.u.i.f. che è espressamente applicabile solo nei confronti dei “soggetti abilitati”, cioè di quelli elencati nell’art. 1, co. 1, lett. r, del t.u.i.f., tra i quali non rientra la Commissione nazionale per le società e la borsa.

 

10. - Le spese processuali seguono la soccombenza nei rispettivi rapporti processuali e si liquidano in dispositivo, in conformità alla nota di parte quelle dell’attore, d’ufficio quelle della Consob.

 

p.q.m.

 

il tribunale, definitivamente pronunciando, così decide:

- condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. al risarcimento dei danni in favore di Bianchi V., pari complessivamente ad euro 17.757,26, oltre interessi legali dalla data odierna al saldo;

-  rigetta le altre domande proposte dal Bianchi nei confronti della M.P.S. e della Consob;

- condanna la M.P.S. al pagamento delle spese processuali in favore dell’attore, liquidate in euro 2.300,00 per onorari, euro 1.104,00 per competenze ed euro 630,00 per spese anche generali, oltre Iva e Cap. come per legge;

- condanna l’attore al pagamento delle spese processuali in favore della Consob, liquidate in euro 2.300,00 per onorari, euro 1.100,00 per competenze ed euro 300,00 per spese anche generali, oltre Iva e Cap. come per legge.