Diritto e Procedura Civile
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 33438 - pubb. 23/07/2025
Principio di non contestazione e nullità negoziali rilevabili d’ufficio. Regole di deduzione e limiti del sindacato del giudice di merito e della Suprema Corte
Cassazione civile, sez. I, 11 Maggio 2025, n. 12461. Pres. Scoditti. Est. Campese.
Principio di non contestazione e nullità negoziali rilevabili d’ufficio - Regole di deduzione e limiti del sindacato del giudice di merito e di quello di legittimità
La valutazione del giudice di merito circa la condotta processuale di non contestazione ex art 115 c.p.c. è riconducibile all’alveo del giudizio di fatto al medesimo riservato e dunque il relativo apprezzamento è censurabile in sede di legittimità solo in caso di incongruenza o illogicità della motivazione. Inoltre, anche la censura di falsa applicazione del principio di non contestazione soggiace all’osservanza dell’art 366 comma 1 n. 6) c.p.c. e dunque la parte ricorrente è tenuta ad indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, trascrivendo i relativi passaggi degli atti del giudizio nella misura necessaria alla verifica cui la Suprema Corte è chiamata.
La nullità di una clausola contrattuale può essere rilevata d'ufficio dal giudice, anche in appello o cassazione, ma solo se i fatti costitutivi del vizio negoziale siano stati tempestivamente allegati dalla parte interessata, nel rispetto delle regole processuali del processo civile. Il fatto costitutivo funzionale a fondare la legittimità di una successiva rilevazione officiosa, deve dunque essere allegato tempestivamente, non potendosi considerare tempestivo il fatto dedotto solo con la precisazione delle conclusioni o con la comparsa conclusionale in primo grado. (1) (Francesca Crivellari) (riproduzione riservata)
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(1) Con l’ordinanza n. 12461/2025 del 11.5.2025 la Prima sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata per l’inammissibilità del ricorso avverso una sentenza resa dalla Corte di Appello di Roma, delineando la natura del sindacato del giudice di merito e formulando precise indicazioni circa le modalità processuali di deduzione dell’eccezione di non contestazione ex art 115 c.p.c., nonché affrontando il tema della rilevazione ufficiosa delle nullità negoziali di protezione.
In particolare, il ricorso, articolato su cinque distinti motivi, può ricondursi a due ordini di doglianze: la prima concerne l’asserita errata valutazione da parte sia del giudice di primo grado che d’appello che hanno ritenuto la contestazione dell’opponente circoscritta ad una parte dell’importo ingiunto, anziché alla sua integralità. La seconda concerne la rilevabilità d’ufficio delle nullità contrattuali di protezione che, secondo la tesi del ricorrente, dovrebbero essere valutate dal giudice a prescindere dalla tempestività della relativa eccezione.
Sul primo punto la Suprema Corte ha affermato che la valutazione della non contestazione è riservata al giudice di merito e può essere censurata in sede di legittimità solo per incongruenza o illogicità della motivazione. La Corte ha quindi precisato che siffatta doglianza, enunciata come falsa applicazione dell’art 115 comm2 c.p.c., soggiace alla necessaria osservanza dell’art 366 comma 1 n. 6) cpc, sicché la parte ricorrente è tenuta non solo ad “indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese”, inserendo nel ricorso “la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi” e ciò mercé “la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria” a tale scopo (cfr. Cass. n. 16655 del 2016), ma anche ad indicare specificamente il contenuto del proprio atto introduttivo, della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi (cfr. Cass. n. 12840 del 2017), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ.
Il ricorrente ha altresì eccepito che il giudice, sia di prime cure che d’appello, non abbia rilevato d’ufficio la nullità della pattuizione contrattuale contenuta nel contratto di finanziamento, relativa al rinvio all’uso piazza per la determinazione degli interessi. Si deve tuttavia osservare che con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado in opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente avesse contestato il quantum eccependo solo l’applicazione di interessi anatocistici e l’applicazione di clausole CMS illegittime. L’eccezione relativa alla determinazione degli interessi tramite il rinvio all’uso piazza, era stata per vero sollevata solo in sede di precisazione delle conclusioni ed argomentata con la comparsa conclusionale depositata in primo grado.
Sul punto, soccorre la ricostruzione operata dalla Corte di Appello di Roma la cui sentenza è stata impugnata con il ricorso in commento (Sentenza n. 4741/2020 pubbl. il 07/10/2020). In particolare, il Collegio aveva in motivazione evidenziato che “La questione relativa al tasso convenzionale – con rinvio agli usi su piazza – oltre che non essere stata mai allegata nell’atto di opposizione in maniera specifica, non è stata neppure rappresentata in sede di precisazione della domanda ex art. 183 comma 6 CPC, cioè nel primo momento utile per contrastare la documentazione contrattuale che la banca – costituitasi in giudizio – ha prodotto, ivi compresa la previsione circa la determinazione/determinabilità del tasso convenzionale. E tale comportamento processuale – in aperto contrasto con la volontà di porre in discussione il rapporto contrattuale al di là delle questioni di anatocismo e commissioni – è proseguito anche in sede di emissione dell’ordinanza ex art. 186 bis CPC, avverso la quale parte opponente non ha mai proposta richiesta di revoca o modifica. …omissis… Ed allora, la qualificazione/interpretazione della domanda che oggi viene richiesta a questa Corte non risulta ammissibile in quanto i rilievi in questo gravame evidenziati (e che al Tribunale erano stati sottoposti solo con la comparsa conclusionale) non erano stati affatto inseriti nell’impianto di allegazioni già delineato, sicchè effettivamente le precisazioni rese nella detta comparsa conclusionale (quindi già oltre i termini di cui all’art. 183 comma 6 CPC) risultano non di mero chiarimento della portata e dei termini dei fatti addotti (v. Cass. n. 7115/13).”
La Suprema Corte, partendo da tali evidenze processuali, ha osservato che la nullità di una clausola contrattuale può essere rilevata d'ufficio dal giudice, anche in appello o cassazione, ma solo se i fatti costitutivi del vizio negoziale siano stati tempestivamente allegati dalla parte interessata, circostanza non avvenuta nel caso di specie attesa la menzione del fatto rilevante solo a preclusioni processuali già maturate.
La Corte di Cassazione ha dunque opportunamente precisato che “nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa in primo grado di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Cass., SU, n. 26242 del 2012, i cui assunti sono stati peraltro successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 19251 del 2018, Cass. n. 26495 del 2019, Cass. n. 20170 del 2022 e Cass. n. 28377 del 2022). Questo principio, però, deve essere applicato tenendo presenti le regole generali del processo civile e la relativa tempistica, onde evitare che l’esercizio di un potere officioso consenta alle parti di rimettersi in pista – per così dire – quando i fatti costitutivi del lamentato vizio negoziale da esaminare ex officio avrebbero potuto e dovuto essere tempestivamente allegati, onde consentire al giudice la necessaria valutazione in diritto. Qualora i fatti costitutivi della dedotta nullità negoziale non risultino già tempestivamente allegati in toto dalla parte che la invoca successivamente, difatti, non è consentito al giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, procedere d’ufficio a tali accertamenti, la rilevabilità officiosa della nullità essendo circoscritta alla sola valutazione in iure dei fatti già (giova ripeterlo) tempestivamente allegati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 5478 del 2024; Cass. n. 8668 del 2025) in iure dei fatti già (giova ripeterlo) tempestivamente allegati (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20713 del 2023 e Cass. n. 5478 del 2024; Cass. n. 8668 del 2025).”
La Suprema Corte censura altresì la contestazione del ricorrente relativa alla “indeterminabilità del credito” atteso che le argomentazioni spese nel ricorso hanno avuto ad oggetto allegazioni e valutazioni espresse nella sentenza di primo grado, e non in quella di appello, sottolineando che l’impugnazione in cassazione può riguardare esclusivamente la sentenza di secondo grado. (Francesca Crivellari)
Segnalazione e massima a cura dell’Avv. Francesca Crivellari, Foro di Roma
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