Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 521 - pubb. 01/07/2007

Investitore quale soggetto incapace

Tribunale Bologna, 18 Dicembre 2006. ..


Intermediazione finanziaria – Violazione dei doveri informativi dell’intermediario – Investitore quale soggetto incapace – Annullabilità



Gli obblighi informativi posti a carico dell'intermediario sono di per sé indicativi di una posizione nettamente sperequata delle parti nell'accesso stesso alle informazioni necessarie ad esprimere una consapevole volontà negoziale, cosicché la posizione dell'investitore è assimilabile, limitatamente ai contratti di investimento in valori mobiliari, a quella del soggetto incapace. L'interesse generale che la disciplina dell'intermediazione finanziaria mira a proteggere è tutelabile solo indirettamente e cioè attraverso la protezione della parte che non e in grado di compiutamente valutare le probabili conseguenze del proprio investimento, e la disciplina dell'annullabilità è appunto quella che più si attaglia alla particolare protezione di uno dei contraenti.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BOLOGNA

SECONDA SEZIONE CIVILE


nelle persone dei seguenti magistrati:

Dott. Bruno BERLETTANO Presidente

Dott. Paola MONTANARI Giudice relatore

Dott.Maria Fiammetta SQUARZONI Giudice



ha pronunciato la seguente


S E N T E N Z A


nella causa civile di I Grado iscritta al N. 9531/2005 R.G.promossa da:

XX1 XX3 XX2 elettivamente domiciliati in VIA CASTIGLIONE, 25 - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. CORRADO FORMICA che li rappresenta e difende unitamente all'avv. CARLO ZAULI del FORO di FORLI ;

ATTORI


c o n t r o


UNICREDIT BANCA SPA già ROLO BANCA 1473 s.p.a. elettivamente domiciliata in VIA DELLA ZECCA, 1 - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. FRANCIA MARIO che la rappresenta e difende;

CONVENUTA


in punto a:

"146231 - Intermed. mobiliare (servizi e contratti di invest., servizi accessori, fondi di invest., gestione collettiva del risparmio,gestione accentrata di strumenti finan., vendita di prodotti finanz., cartolarizzazione di crediti, contratti di borsa)"

omissis


Svolgimento del processo


Con atto di citazione ex D. Lgs. 5/2003, XX1 , XX2 e XX3 convenivano in giudizio la SpA Unicredit Banca esponendo:

- che due funzionari della filiale *** di Unicredit Banca si erano recati in data 7-6-2001 presso l'abitazione di XX3 e XX2 al fine di far sottoscrivere ai predetti, oltreché alla figlia XX1, l'acquisto di obbligazioni argentine per un valore pari ad Euro 61.562,76;

- che il contratto stipulato dagli attori ex art. 23 del TUF recava la data del 7-6-2001, mentre l'ordine di acquisto delle obbligazioni recava la data del 31-5-2001, onde quest'ultimo era stato effettuato in assenza del contratto scritto di negoziazione, ricezione e trasmissione ordini;

- che anteriormente al 7-6-2001 non esisteva alcun deposito titoli a nome degli attori, né era stata effettuata alcuna operazione;

- che il 7-6-2001 i funzionari della Unicredit Banca si erano recati presso l'abitazione dei coniugi XX3-XX2 al fine di far "ratificare" l'ordine di acquisto delle obbligazioni argentine;

- che nel contratto da essi stipulato era, però, stata omessa l'indicazione della facoltà di recesso, con conseguente nullità del contratto ex art. 30, comma 7 del TUF;

- la mancanza sull'ordine sottoscritto da XX3 del visto dell'operatore bancario, con conseguente sua nullità per violazione del disposto di cui all'art. 23 TUF;

- che a XX3 nulla era stato detto circa la rischiosità dei titoli acquistati, ma che l'investimento era stato, al contrario, prospettato come assai sicuro;

- che l'operazione compiuta dall'istituto di credito per conto di XX3 era inadeguata come risultante, del resto, dall'ordine di acquisto in cui compariva la dicitura "titolo a rischio o soggetto a condizioni particolari";

- che tale segnalazione non costituiva, tuttavia, una corretta informazione da parte della banca ex art. 29, comma 3 del regolamento Consob 11522/1998, non essendo da essa dato comprendere le specifiche ragioni di rischiosità dei titoli de quibus e le ragioni per le quali non fosse opportuno procedere all'operazione;

- che nel caso di operazioni inadeguate la forma scritta richiesta ad substantiam dall'art. 29 del regolamento Consob era da intendersi richiesta anche in relazione all'indicazione degli specifici motivi per cui non fosse opportuno procedere all'operazione;

- la nullità dell'operazione per violazione di disposizioni imperative e, in ogni caso, la responsabilità della convenuta a titolo o contrattuale, o precontrattuale o aquiliano.La SpA Unicredit Banca si costituiva in giudizio deducendo:

- che in data 29-3-1999 XX3 e XX1 avevano sottoscritto un contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione ordini su strumenti finanziari;

- che il 31-5-2001 XX3 aveva regolarmente sottoscritto l'ordine di acquisto delle obbligazioni argentine, disponendo che le stesse fossero immesse nel deposito titoli a custodia e amministrazione n. 358/310627;

- che, pertanto, il 31-5-2001, data di acquisto delle obbligazioni argentine, sussistevano regolari rapporti per la negoziazione di ordini e per il deposito titoli a custodia e amministrazione aperti dalle signore XX3 e XX1 ;

- che il 7-6-2001 nessun funzionario di Unicredit Banca si era recato presso l'abitazione degli attori, ma che in tale data XX3 e XX1, unitamente a XX2, avevano stipulato il nuovo contratto di deposito titoli a custodia e amministrazione n. 358/310898, nonché un nuovo contratto per la negoziazione, ricezione e trasmissione ordini su strumenti finanziari;

- che, in pari data, XX3 e XX1 avevano impartito alla Banca l'ordine di trasferire le obbligazioni argentine acquistate il 31-5-2001 dal deposito n. 358/310627 al deposito n. 358/310898 intestato anche a XX2 ;

- che il 20-12-2001 la repubblica argentina aveva dichiarato lo stato di emergenza e tutte le obbligazioni emesse avevano perso rapidamente il proprio controvalore;

- che, ad eccezione dell'art. 23 TUF, nessuna delle disposizioni richiamate dagli attori comminava espressamente la nullità come conseguenza della violazione;

- che dette disposizioni costituivano una mera esplicitazione dei principi di correttezza e buona fede e, tendendo a disciplinare la condotta di uno dei contraenti nell'esecuzione di un rapporto assimilabile in senso lato al mandato, erano rilevanti solo agli effetti del corretto adempimento del contratto intercorso tra intermediario e cliente;

- che, al momento dell'acquisto, l'agenzia Standard & Poor's aveva inserito i titoli obbligazionari argentini nella categoria "long term" con "speculative grade" ed attribuito loro un rating B;

- che a tale rating corrispondeva una definizione di vulnerabilità ad avverse condizioni politiche, finanziarie ed economiche che potevano dar luogo al mancato o ridotto rimborso delle somme degli investitori.


Nell'istanza di fissazione d'udienza avanzata ex art. 8 comma 2° lett. c) del D. Lgs. 5/2003 la convenuta banca concludeva chiedendo il rigetto delle domande formulate dagli attori o, in via subordinata, la condanna della SpA Unicredit Banca alla sola restituzione degli importi versati, maggiorati dei relativi interessi legali e decurtati delle somme eventualmente incassate a titolo di cedole, con esclusione del risarcimento di qualunque danno ulteriore e comunque previa restituzione dei titoli e/o previa detrazione del corrispettivo dei titoli nelle more ceduti.

Nella nota depositata ex art. 10 comma 1° D. Lgs. 5/2003 gli attori concludevano chiedendo l'accertamento della nullità e/o annullabilità e/o invalidità e/o inefficacia dell'operazione effettuata dalla SpA Unicredit Banca per conto di XX3, XX2 e XX1, con condanna della convenuta a pagare loro la somma di Euro 61.562,76, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria, nonché la somma di Euro 10.000,00 e l'ulteriore somma rappresentante il maggior danno conseguente alla mancata disponibilità della somma utilizzata per l'acquisto delle obbligazioni argentine.

Rigettate le istanze istruttorie dedotte da entrambe le parti, la causa veniva discussa all'udienza del 10-10-2006.


Motivi della decisione


L'azione promossa dagli odierni attori trae origine dalla pretesa violazione da parte dell'istituto bancario convenuto di una pluralità di norme contenute nel decreto legislativo n. 58/1998 riguardante la disciplina degli intermediari in strumenti finanziari (c.d. T.U.F.) e nel regolamento di attuazione dell'1-7-1998 n. 11522.

In particolare contestano gli attori:

1) la mancanza del requisito della forma scritta che avrebbe dovuto essere osservata per l'operazione di acquisto delle obbligazioni argentine di cui all'ordine 31-5-2001,

2) la violazione dell'art. 30 del TUF per omessa indicazione nel contratto stipulato in esecuzione di tale ordine della facoltà di recesso,

3) l'omessa o comunque carente informazione circa i rischi dell'investimento prescelto per non avere la convenuta comunicato all'investitore che si trattava di obbligazioni di tipo speculativo, adatte unicamente ad investitori in condizione di valutare e sostenere rischi speciali, trattandosi di titoli che presentavano un elevato rischio di non incassare cedole e/o capitale.

Il T.U. 58/1998 delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria ed il successivo regolamento attuativo dell'1-7-1998 hanno puntualmente specificato i doveri degli intermediari in strumenti finanziari, dando corpo ad una normativa la quale integra lo statuto dell'intermediatore finanziario applicabile a tutte le operazioni eseguite dall'intermediatore.Iniziando l'analisi dai lamentati vizi formali, giova evidenziare come la dizione "contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento" contenuta nell'art. 23 TUF sembra circoscrivere l'obbligo formale della scrittura ad substantiam ai soli contratti destinati alla disciplina dei servizi forniti dall'intermediatore, quindi al c.d. contratto-quadro essendo, invece, le parti libere di individuare le modalità con le quali il cliente impartisce ordini e disposizioni, modalità che si sostanziano in una sequenza procedimentale di atti avviati dall'ordine del cliente, seguito dalla documentazione dell'ordine posta a carico della banca e dall'obbligo di informazione da parte di quest'ultima sulla natura e sui rischi dell'operazione.

La convenuta Banca ha prodotto in causa un contratto di negoziazione, ricezione e trasmissione ordini su strumenti finanziari sottoscritto da XX3 e XX1 il 29-3-1999 e, quindi, in epoca antecedente all'ordine di che trattasi.Gli attori non hanno dedotto alcuna prova circa l'asserita raccolta di quest'ultimo presso l'abitazione di XX3 e XX2, onde non si ritiene applicabile alla fattispecie la previsione di cui all'art. 30, 7° co. TUF riguardante i contratti di collocamento di strumenti finanziari conclusi "fuori sede".

Ancorché la mancanza di una sigla dell'operatore bancario sull'ordine prodotto dalla convenuta come documento n. 5 sia di per sé indicativa di negligenza, alla mancanza di tale visto non si ritengono correlabili le conseguenze di nullità, annullabilità o inefficacia del contratto volute dagli attori.

Esclusa per le ragioni sopra esposte la nullità, sotto il profilo formale, dei contratti di compravendita stipulati in esecuzione dell'ordine impartito da XX3 il 31-5-2001, occorre valutare la sussistenza della lamentata violazione dell'obbligo informativo di cui all'art. 21 del decreto legislativo 58/1998.L'art. 21 del D. Lgs. 58/1998 stabilisce che nelle prestazioni di servizi di investimento e accessori (senza ulteriori specificazioni) i soggetti abilitati devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell'interesse del cliente e per l'integrità dei mercati, acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che gli stessi siano sempre adeguatamente informati.

I contenuti di questa clausola generale sono, poi, specificati dai regolamenti esecutivi.

All'art. 26 del Regol. Consob si legge: "Gli intermediari autorizzati, nell'interesse degli investitori... acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari ... da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire".

Al punto 2 dell'art. 28 si legge: "Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento".

Dagli articoli 21 co. 1 lett. d) TUF e 26 D. Consob 11522/98 è, quindi, desumibile, a carico degli intermediari e nell'interesse degli investitori, un obbligo di conoscenza sui prodotti offerti, conoscenza che si estende alla loro provenienza, alla situazione degli stessi nei mercati, alla loro destinazione al pubblico dei consumatori.

Si tratta di conoscenza che l'investitore-risparmiatore, per esperienza, per cultura o per diverso campo lavorativo non potrà mai acquisire, pervenendo ad un giudizio completo sull'operazione finanziaria.

È stato, quindi, correttamente affermato che i doveri imposti alla banca si sostanziano essenzialmente nel dovere di informarsi e nel dovere di informare.

L'art. 29, 1° co. del regolamento Consob impone, poi, agli intermediari di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.

Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque dar corso all'operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l'operazione solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute. L'acquisizione della dichiarazione di cui all'art. 28 non esaurisce l'obbligo di diligenza imposto all'intermediario per dare corso all'operazione, dovendo questi tener conto di ogni altra informazione disponibile in relazione ai servizi prestati. In particolare la Consob ha precisato con comunicazione n. DI/30396 del 21-4-2000 che "...in nessun caso gli intermediari sono esonerati dall'obbligo di valutare l'adeguatezza dell'operazione disposta dai clienti, neanche nel caso in cui l'investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni sulla propria situazione patrimoniale o finanziaria, obiettivi di investimento e propensione al rischio".

Gli obblighi imposti dalla legge speciale non possono essere riduttivamente ricondotti, sic et simpliciter, alla disciplina del mandato.

Infatti se a questa figura giuridica ci si può per taluni aspetti riferire, questo deve essere fatto tenendo presenti quei precisi contenuti normativi che, connotandola, attribuiscono alla fattispecie elementi differenziatori individuati nella complessità degli obblighi posti a carico dell'intermediario.

Ciò posto si deve escludere che la banca abbia nella fattispecie agito in conformità a quanto prescritto dal combinato disposto degli articoli 21, lettere a) e b) del D. Lgs. 58/1998, 26, 28 e 29 del regolamento di attuazione.

Se è pur vero che il default dell'Argentina è stato dichiarato nel dicembre 2001, va rilevato come nel maggio dello stesso anno la convenuta banca non potesse non essere a conoscenza dell'altissima rischiosità delle obbligazioni Argentina.

Nel caso di specie la convenuta banca non ha ritenuto di portare a conoscenza del risparmiatore fatti assai significativi come il precedente crac finanziario subito dall'Argentina nel 1994, il progressivo indebitamento estero della stessa, il significato dei ratings attribuiti al titolo dalle agenzie specializzate.

In realtà, tali fatti identificavano un'operazione altamente rischiosa che non avrebbe potuto essere conclusa ex art. 29 senza un ordine scritto dell'investitore nel quale risultasse chiaramente, e sempre in forma scritta, che la banca aveva portato tali fatti a conoscenza dell'investitore.

Con la consegna del documento sui rischi generali degli investimenti finanziari la convenuta banca ha fornito un'informativa del tutto generica che non garantisce quella conoscenza concreta ed effettiva del titolo negoziato che l'intermediario deve assicurare in modo da rendere il cliente capace di tutelare il proprio interesse e di assumersi consapevolmente i rischi dell'investimento compiuto.

La generica informazione di rischiosità non risponde alla prescrizione di informare adeguatamente l'investitore degli specifici rischi connessi all'investimento, secondo quanto dispone il combinato disposto del comma 1 dell'art. 21 D. Lgs. 58/1998, nonché degli articoli 28 co. 2 e 29 del regolamento Consob, poiché il generico avvertimento non mette al corrente l'investitore delle ragioni per cui non è opportuno procedere all'operazione. La convenuta banca, attraverso la dicitura "titolo a rischio o soggetto a condizioni particolari" apposta sull'attestazione dell'ordine prodotta come documento n. 5, ha confessato l'inadeguatezza dell'operazione e di essere consapevole di tale inadeguatezza. Si ricorda che la norma regolamentare in materia dispone che in presenza di una operazione non adeguata l'intermediario debba astenersi dal dare esecuzione all'operazione se prima non abbia avvertito l'investitore dei motivi dell'inadeguatezza ed abbia ottenuto dal medesimo l'espressa autorizzazione ad agire ugualmente.

Quanto prescritto dal citato articolo 29 è unicamente interpretabile come onere di prova scritta da parte dell'intermediario delle specifiche informazioni fornite all'investitore, con conseguente inammissibilità della prova testimoniale in punto dedotta.

La prova offerta nel presente giudizio dalla SpA Unicredit Banca è vieppiù inammissibile in quanto articolata in capitoli la cui genericità è in tutto e per tutto equiparabile a quella del documento sui rischi generali consegnato all'investitore.

Né può valere come esimente per la banca la circostanza che gli attori avessero già in precedenza acquistato titoli ad alto rischio. L'acquisto di tali titoli non trasforma automaticamente l'investitore in un soggetto esperto in grado di valutare i rischi dell'operazione.

Occorre, poi, osservare come gli attori abbiano configurato la violazione agli obblighi posti sulla convenuta dalla legislazione di settore non già nella forma di un investimento non adeguato al profilo dell'investitore, bensì nella forma di un investimento oggettivamente inadeguato, poiché effettuato in relazione a titoli le cui caratteristiche di elevata rischiosità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza della convenuta ed avrebbero, altresì, dovuto formare oggetto di specifiche informative.

Molteplici erano gli elementi conoscibili da parte dell'istituto e confessoriamente conosciuti al momento della sottoscrizione dell'ordine, elementi che dovevano indurre un soggetto particolarmente qualificato a evidenziare i particolari motivi di rischiosità dell'investimento ed a sconsigliare un tale tipo di operazione.

Nulla di tutto ciò risulta sia avvenuto nel caso in esame poiché il generico avvertimento di non adeguatezza dell'operazione non ha assolto all'onere in questione.

Peraltro, a norma dell'art. 23 co. 6° del D. lgs. 58/1998 l'onere di provare di aver adempiuto con la specifica diligenza professionale richiesta all'intermediario in strumenti finanziari incombe su quest'ultimo.

Non ritiene questo Giudice che l'onere di prova imposto dal citato articolo 23 debba essere limitato ai giudizi nei quali è in discussione unicamente un obbligo risarcitorio e ciò in quanto:

1) è la banca il soggetto interessato a conservare la prova scritta di cui all'art. 29 Reg. Consob,

2) si addiverrebbe all'assurdo dell'insussistenza di un analogo onere ove si discuta di violazioni di tale gravità da inficiare la stessa validità del negozio concluso per il tramite dell'intermediario, ipotesi nelle quali il danno denunciato dall'investitore è rappresentato dalla stessa stipulazione alla quale l'investitore è addivenuto per effetto della violazione degli obblighi incombenti sull'intermediario.

Circa le conseguenze della violazione, ritiene il Collegio che i singoli contratti stipulati in esecuzione del contratto-quadro, ma in conseguenza dell'inadempimento da parte dell'intermediario al proprio obbligo di informazione siano affetti da un vizio c.d. genetico.

Il dolo quale vizio della volontà consiste in un inganno che induce un soggetto in errore e che lo determina a stipulare un negozio che, se fosse mancata l'azione ingannatrice egli non avrebbe posto in essere.

Dottrina e giurisprudenza individuano questa azione ingannatrice nell'artificio, cioè in una finzione o in un celamento atto a dare ad altri una falsa rappresentazione della realtà.

Il dolo può, quindi, consistere anche nella reticenza, cioè nel tacere circostanze che avrebbero fatto desistere l'altra parte dal concludere il contratto.

Il dolo che consiste nell'uso di raggiri e menzogne si chiama commissivo; quello posto in essere mediante reticenza, omissivo. Secondo un'autorevole dottrina e giurisprudenza il dolo omissivo assume rilevanza proprio nei contratti nei quali è posto a carico di una parte uno specifico onere di informazione (cfr. Cass. civ. sent. 10779/1991, 257/1991).

Nella fattispecie, ripetesi, è accertata la violazione da parte della convenuta dell'obbligo di informazione posto a suo carico dall'art. 21 D. L.vo 58/98 e dagli articoli 28 e 29 della delibera Consob n. 11522/98.

Del resto, anche a ricondurre la violazione dell'obbligo di informazione nella sfera dell'inadempimento da parte dell'intermediario alle obbligazioni derivanti dal mandato conferito e assunto con la sottoscrizione del c.d. contratto quadro, si addiverrebbe, comunque ad un'obbligazione risarcitoria rispetto alla quale il danno è propriamente rappresentato dall'avere l'investitore stipulato un negozio svantaggioso in luogo di altri che egli avrebbe verosimilmente stipulato ove l'intermediario avesse svolto il proprio incaricato in ossequio agli obblighi impostigli dalla legge.

Ritiene, peraltro, il Collegio più corretto l'approccio del vizio c.d. genetico poiché gli obblighi di informativa posti a carico dell'intermediatore sono di per sé indicativi di una posizione nettamente sperequata delle parti nell'accesso stesso alle informative necessarie ad esprimere una consapevole volontà negoziale, cosicché la posizione dell'investitore è assimilabile, limitatamente ai contratti di investimento in valori mobiliari, a quella del soggetto incapace.

L'esempio codicistico che dimostra la giustezza di tale approccio è dato dall'art. 1892 c.c. il quale esplicita come dalla violazione colposa dell'obbligo di informazione esistente a carico di una delle parti derivi come conseguenza l'annullabilità del negozio.

Del resto l'interesse generale che la disciplina dell'intermediazione finanziaria mira a proteggere è tutelabile solo indirettamente e cioè attraverso la protezione della parte che non e in grado di compiutamente valutare le probabili conseguenze del proprio investimento, e la disciplina dell'annullabilità è appunto quella che più si attaglia alla particolare protezione di uno dei contraenti.

Da tale disciplina deriva che l'eliminazione degli effetti del negozio dipende solo dall'iniziativa della persona che la legge intende proteggere (art. 1441 c.c.) ed è soggetta a prescrizione quinquennale (art. 1442 c.c.).

Allorché l'azione di annullamento venga accolta l'annullamento ha effetto retroattivo: si considera cioè come se il negozio non avesse prodotto alcun effetto; se esso è stato eseguito chi ha effettuato la prestazione ha diritto alla sua restituzione secondo le regole sulla ripetizione dell'indebito (art. 2033 c.c.).

Chi ha eseguito un pagamento ha, quindi, diritto a ripetere ciò che ha pagato con i frutti e gli interessi dal giorno del pagamento se chi lo ha ricevuto era in mala fede, o dal giorno della domanda se questi era in buona fede.

Ritiene il Collegio che la buona fede non possa andare disgiunta dall'assenza di colpa, mentre nella fattispecie è accertata la colpa della convenuta come violazione agli obblighi di informazione posti a suo carico dalla legge.

XX1, XX3 e XX2 hanno, quindi, diritto, pro quota, a ripetere la complessiva somma di L. 123.196.921, pari ad Euro 63.626,00 (cfr. documenti prodotti dalla convenuta sub n. 5 ter), oltre agli interessi legali su tale somma dal 31-5-2001 al saldo.

In accoglimento della domanda restitutoria avanzata dalla SpA Unicredit Banca e preso atto della vendita dei titoli de quibus intervenuta il 24-2-2006 per il controvalore di Euro 19.120,150 (cfr. doc. 13 della convenuta), gli attori vanno condannati al pagamento, in via solidale, della indicata somma di Euro 19.120,150, oltre agli interessi legali su tale somma dal 24-2-2006 al saldo.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa azione ed eccezione rigettata;

1) annulla i contratti intercorsi tra le parti in esecuzione dell'ordine di negoziazione impartito da XX3 il 31-5-2001;

2) condanna la SpA Unicredit Banca a pagare a XX3 , XX1 e XX2 , in ragione di un terzo ciascuno, la somma di Euro 63.626,00, oltre agli interessi legali su tale somma dal 31-5-2001 al saldo;

3) condanna XX3 , XX1 e XX2, in via solidale, a pagare alla SpA Unicredit Banca la somma di Euro 19.120,150, oltre agli interessi legali su tale somma dal 24-2-2006 al saldo;

4) condanna la SpA Unicredit Banca a rifondere XX3, XX1 e XX2 delle spese relative al presente giudizio che si liquidano in complessivi Euro 5.000,00, di cui Euro 1.500,00 per competenze ed Euro 3.000,00 per onorari, oltre ad IVA, CPA e 12,5% ex art. 14 T.P.

Così deciso nella Camera di Consiglio tenuta in Bologna il 21-11-2006