Diritto dei Mercati Finanziari
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 489 - pubb. 01/07/2007
Conflitto di interessi, informazione e interesse del cliente
Tribunale Milano, 22 Novembre 2006. Pres. Vanoni. Est. Silvia Brat.
Intermediazione
finanziaria – Conflitto di interessi – Efficacia e contenuti dell’informazione
– Idoneità dell’informazione e tutela dell’interesse dell’investitore – Equo
trattamento
Nell’ipotesi di conflitto di interessi, l’autorizzazione ex art. 27 regolamento CONSOB n. 11522/1998 non deve operare quale clausola deresponsabilizzante per eventuali operazioni poste in essere a discapito del cliente e a vantaggio dell’intermediario o di un altro soggetto. Pertanto, perché l’intermediario possa da corso all’operazione, non è sufficiente il consenso espresso e consapevole del cliente, ma deve sussistere la rispondenza dell’operazione ad un di lui interesse. In sostanza, il dovere di trasparenza, nell’ipotesi di conflitto di interesse, è certamente più incisivo e deve rendere l’investitore il più possibile edotto delle operazioni di investimento proposte. Solo in questo senso, ossia a fronte di un’informazione completa ed efficace, idonea a raggiungere la sfera cognitiva dell’investitore ed a colmare il gap conoscitivo inevitabile, resa anche alla luce del criterio dell’equo trattamento evidenziato dall’art. 21, I comma, lett. a) del T.U.F., la banca può dimostrare di aver ottemperato a disposizioni legislative, come integrate dal regolamento CONSOB, in ossequio alla tutela costituzionale del risparmio ex art. 47 Cost..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, A. N. e V. G. convenivano davanti al Tribunale di Milano la s.p.a. BANCA ** in persona del legale rappresentante, ciò assumendo:
che, in data 15 febbraio 2001, veniva loro addebitata la somma di € 25.162 sul conto corrente per l’acquisto di un titolo che, nel fissato bollato, veniva indicato come CROIM 6,25% 2004;
che tale sigla corrispondeva all’emissione obbligazionaria Cirio Holding Luxemburg SA del 6 febbraio 2001 con scadenza al febbraio 2004;
che l’allora Banco **** - presso il quale essi attori avevano il conto corrente da anni - versava in palese conflitto di interesse con riferimento ai titoli in questione, il cui emittente era soggetto incapace di adempiere e la cui finalità era la trasformazione dell’imponente debito a breve in debito obbligazionario a lungo termine;
che essi, pur lasciando alla banca l’onere di dimostrare l’esistenza di un valido ordine in relazione ai predetti titoli, non ricevevano alcuna comunicazione dell’ordine.
La Difesa attorea, quindi, senza nulla dare per ammesso quanto al perfezionamento dell’ordine, deduceva la nullità dello stesso ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c., per carenza dei requisiti di cui agli artt. 27, 28, 29 del regolamento CONSOB n. 11522/1998, asserendo, in particolare, l’esistenza di un grave conflitto di interesse, di cui la banca non aveva reso edotti i clienti. Deducevano, inoltre, l’annullabilità del contratto, in forza della disposizione di cui all’art. 1429, n. 1 e n. 2 c.c. ed, in via subordinata, per vizio della volontà ai sensi dell’art. 1439 c.c..
In via ulteriormente subordinata, deducevano la responsabilità contrattuale dell’istituto ai sensi degli artt. 1175 e 1176 c.c., con conseguente condanna della controparte al risarcimento dei danni, tra i quali doveva rinvenirsi anche il danno morale riconducibile al reato di cui all’art. 640 c.p..
Radicatosi il contraddittorio, parte convenuta esponeva che agli attori era stato consegnato il documento sui rischi generali connessi all’attività di investimento mobiliare e che questi si erano rifiutati di fornire informazioni circa i loro obiettivi di investimento, la propensione al rischio e la situazione finanziaria in generale; che essi avevano un portafoglio titoli estremamente diversificato e che ciò denotava una propensione al rischio tutt’altro che trascurabile.
Parte convenuta deduceva, poi, che l’attività dalla stessa posta in essere era tipica negoziazione per conto terzi che la dottrina identificava come attività di mera esecuzione di ordini sia su mercato regolamentato che fuori dal mercato regolamentato; da tale ricostruzione discendeva che il prezzo di acquisto non era stato pagato ne incamerato dalla banca, ma versato ed incassato dall’intermediario terzo, avendo essa banca percepito solo la commissione di negoziazione; ne derivava, in sostanza, che il rapporto giuridico dedotto dagli attori faceva capo ad un terzo soggetto.
Assumeva, inoltre, l’insussistenza delle violazioni addebitate dagli attori con riferimento agli artt. 27 – 29 del regolamento CONSOB Intermediari, con conseguente richiesta di reiezione delle relative domande di annullamento e di risarcimento dei danni.
Dopo lo scambio di memorie ex artt. 6 e 7 del D.lgs. n. 5/2003, l’ammissione delle prove testimoniali con ordinanza collegiale del 30 novembre 2005, l’escussione dei testi M. M. e R. S. all’udienza del 25 maggio 2006, la causa, svolta la discussione orale, era ritenuta in decisione all’udienza collegiale del 22 novembre 2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale, va disattesa l’eccezione, sollevata dalla parte convenuta nella memoria ex art. 7 D.lgs. n. 5/2003, concernente la pretesa nullità della notifica della memoria attorea ex art. 6, notifica avvenuta oltre l’orario di cui all’art. 147 c.p.c.. Parte convenuta, tuttavia, nella memoria ex art. 7 non ha esposto di non aver ricevuto la memoria della controparte, alla quale ha diffusamente replicato nel merito, pur avendo sottolineato che la propria memoria non rivestiva carattere sanante rispetto all’eccezione sollevata (v. pag. 8 della memoria). Pertanto, in ossequio al principio di raggiungimento dello scopo, codificato dall’art. 156 c.p.c. e compatibile con il rito societario in difetto di disposizione di segno contrario, deve osservarsi che nessuna lesione del diritto di difesa si è in concreto verificata in ragione dell’orario della notifica. In via pregiudiziale, occorre, ora, analizzare l’eccezione sollevata dalla convenuta di carenza di legittimazione passiva della banca e di necessità di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c..
La Difesa del BANCA ** ha rilevato che nel caso in esame ha posto in essere una tipica negoziazione per conto terzi e non una negoziazione in conto proprio consistente nella vendita di strumenti finanziari appositamente detenuti in portafoglio dall’intermediario, “il quale solo in tale ipotesi si pone in contropartita diretta” (v. pag. 10 della comparsa di costituzione). Da ciò seguirebbe che il rapporto giuridico in essere farebbe capo ad un soggetto terzo, mentre la banca non sarebbe il legittimo contraddittore. In ogni caso, il rapporto obbligatorio dedotto dovrebbe dar vita al litisconsorzio necessario “dovendosi considerare non tanto la natura dell’azione, ma l’idoneità della pronuncia a produrre gli effetti in funzione dei quali l’attore ha proposto la domanda pervenendosi ad una decisione idonea a regolare il rapporto controverso” (v. pag. 12 della comparsa costitutiva).
L’eccezione non merita accoglimento. La distinzione tra negoziazione per conto proprio e quella per conto terzi si fonda sul fatto che nella prima l’intermediario agisce in nome proprio e nel proprio esclusivo interesse, mentre nella seconda l’operatore finanziario agisce nell’esclusivo interesse dell’investitore, a prescindere o meno dalla spendita del nome. Tale diversità strutturale comporta che, nel primo caso, l’intermediario percepisce eventualmente anche un compenso costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita dei titoli; mentre nella seconda ipotesi, l’intermediario percepisce una commissione, addebitata al cliente.
Inoltre, con riferimento alla posizione contrattuale delle parti, solo nella negoziazione per conto terzi l’intermediario ha di mira l’interesse esclusivo del cliente, laddove nella negoziazione in conto proprio è egli stesso la naturale controparte del cliente.
Dal punto di vista dogmatico, tra l’altro, la negoziazione per conto proprio va ricondotta nell’ambito della compravendita, mentre la negoziazione per conto terzi è stata, dalla dottrina, inserita nell’ambito dello schema normativo ora della commissione, ora del mandato, ora della mediazione. Tuttavia, il legislatore delegato e la CONSOB hanno dettato regole comportamentali pressoché identiche riguardo ai due tipi di negoziazione, con riferimento particolare, alla regola della best execution, ex art. 32, III comma, regolamento CONSOB Intermediari. Ed è proprio questa attenzione del legislatore che travolge, per così dire, le categorie dogmatiche, per incanalare l’operato dell’intermediario nei binari della correttezza e diligenza professionale, garantite dai doveri informativi penetranti e dal dovere dell’equo e trasparente trattamento. Pertanto, in entrambi i casi, viene in considerazione il rapporto obbligatorio con il cliente, con riguardo al quale va analizzata l’attività dell’intermediario. È proprio con riferimento a tale rapporto obbligatorio che parte attorea ha chiesto dichiararsi, in via principale, la nullità della compravendita, in via subordinata, l’annullamento del negozio per vizio del consenso, in via ulteriormente subordinata, la condanna della banca al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento contrattuale. Alla luce di questo inquadramento, pertanto, del tutto destituita di fondamento è non solo l’eccezione di carenza di legittimazione passiva, ma anche la richiesta di integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 102 c.p.c., posto che la natura delle azioni spiegate dagli attori non rifluisce nella sfera soggettiva di un terzo, come avviene nell’ipotesi dell’art. 102 c.p.c.. Ed, infatti, ricorre l’ipotesi di cui all’art. 102 c.p.c. “solo allorquando l’azione tenda alla costituzione o al mutamento di un rapporto plurisoggettivo unico oppure all’adempimento di una prestazione inscindibile, incidente su una situazione giuridica inscindibilmente comune a più soggetti, di modo che, se emanata in assenza del contraddittorio di tutte le parti interessate, l’emananda sentenza sia priva di alcuna pratica utilità”(v. ex multis Cass. civ., n. 14102/2003).
Passando, ora, al merito della controversia, va detto che parte attorea, sin dalla citazione, ha lasciato alla convenuta “l’onere della prova in ordine al fatto storico del perfezionarsi di un contratto di compra – vendita avente ad oggetto il titolo Cirio Holding Luxembourg Sa 6,25%” (v. pag. 10 della citazione). In merito a tale profilo, la banca San Paolo IMI s.p.a. ha prodotto il contratto di negoziazione dal quale risulta, all’art. 1, che gli ordini sono conferiti, di norma, per iscritto e che, laddove siano conferiti telefonicamente, la banca provvede a registrarli su nastro magnetico o su altro supporto equivalente.
A seguito dell’escussione dei testi A.S., R.S., M:M. – impiegati presso la banca convenuta - è stato provato il conferimento dell’ordine per telefono, ordine che è stato registrato e riascoltato dai testi stessi. Infine, dal documento n. 9 prodotto dalla convenuta si ricava il testo registrato quanto meno con riferimento alla telefonata del 7 febbraio 2001.
Con riguardo alla forma scritta dell’ordine, va premesso che l’art. 23 T.U.F. trova la sua attuazione nell’art. 30 del regolamento CONSOB Intermediari, il quale, a sua volta, detta un contenuto tipico contrattuale, da ritenersi tassativo. Dalla stessa lettura di tale ultima disposizione risulta chiaro che essa riguarda non i singoli ordini di negoziazione, ma i contratti quadro d’investimento. Ed, infatti, oltre all’inciso iniziale ove è fatto riferimento ai servizi che non possono essere forniti se non sulla base di un contratto scritto, solo nella prospettiva di una regolamentazione di ordine generale e preventiva si spiega la necessità di:
1) specificare i servizi forniti e le loro caratteristiche;
2) stabilire il periodo di validità e le modalità di rinnovo del contratto, nonché le modalità da adottare per le modificazioni del contratto stesso;
3) indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni;
4) prevedere la frequenza, il tipo e la documentazione da fornire all’investitore a rendiconto dell’attività svolta;
5) indicare le modalità di costituzione e di ricostituzione della provvista a garanzia delle operazioni disposte, specificando separatamente i mezzi costituiti per l’esecuzione delle operazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati e warrant;
6) indicare le altre condizioni contrattuali eventualmente convenute con l’investitore per la prestazione del servizio.
Una simile disciplina a carattere preventivo ben si accorda con il concetto del contratto quadro e tale conclusione trova ulteriore conforto nell’art. 60, I comma del regolamento citato, il quale impone il rilascio, da parte dell’intermediario, di un’attestazione cartacea contenente i dati fondamentali dell’ordine di negoziazione ricevuto ed eseguito; ed, invero, in tale caso, la forma scritta attiene non alla validità ma alla prova dell’ordine e del contenuto dello stesso.
Nello stesso senso va letto il comma II dell’art. 30 citato che impone, quanto agli ordini telefonici, la registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, confermando, così, che l’ordine può essere anche telefonico, mentre la registrazione attiene alla prova del contratto.
Con riferimento alle violazioni addebitate dalla Difesa attorea alla banca, si osserva che le stesse sono incentrate, in particolare, sul mancato rispetto degli adempimenti di cui agli artt. 27 e 28 del regolamento CONSOB Intermediari. Secondo la tesi prospettata, il Banco **** sarebbe stato fortemente esposto verso il gruppo Cragnotti & Partners. Tanto è vero che, in ragione del grave squilibrio finanziario già alla fine del 1999 – inizi 2000, quando il gruppo Cirio decise di procedere ad un piano di ristrutturazione del debito con lo scopo di trasformare l’indebitamente da breve in medio – lungo termine ovvero di trasformare la maggior parte del debito bancario in debito obbligazionario, vi fu un sostanziale benestare da parte delle banche che, in tal modo, potevano ridurre la loro esposizione debitoria.
Di tale ristrutturazione del debito – che si concretizzò nelle sette emissioni obbligazionarie succedutesi a partire dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002 - dichiarate successivamente in cross – default, beneficiarono gli istituti di credito, tra i quali, appunto, il Banco ****.
La Difesa di parte convenuta ha, in primo luogo, assunto che gli attori erano investitori tutt’altro che sprovveduti, come desumibile dal portafoglio titoli. In secondo luogo, ha osservato che non aveva partecipato al collocamento di alcuna emissione obbligazionaria del gruppo Cirio, come risultava dal documento attoreo sub n. 4, ove sono riportati i nomi dei managers delle singole emissioni obbligazionarie. Non ha, invece, negato la sussistenza dell’ingente debito. Orbene, l’art. 21, comma I, lett. c) del T.U.F. fa obbligo agli intermediari di organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitto di interessi ed, in situazioni di conflitto, di agire in modo tale da assicurare ai clienti trasparenza ed equo trattamento. E, infatti, nell’attuale contesto economico, la dematerializzazione dei titoli di credito, la creazione di prodotti finanziari sempre più sofisticati inducono il risparmiatore a riporre fiducia nell’intermediario per lo svolgimento dei servizi di investimento relativi. Di conseguenza, l’investitore, per lo più sprovvisto di nozioni altamente specialistiche, non è in grado di monitorare, anche a monte, cioè nella fase precontrattuale, la prestazione relativa e si affida allo stesso gestore, dal quale assume consigli ed al quale conferisce gli ordini. Nell’ipotesi, quindi, di sussistenza del conflitto, l’autorizzazione ex art. 27 regolamento CONSOB n. 11522/1998 non deve operare quale clausola deresponsabilizzante per eventuali operazioni poste in essere a discapito del cliente e a vantaggio dell’intermediario o di un altro soggetto. Pertanto, non è sufficiente il consenso espresso e consapevole del cliente, ma deve sussistere la rispondenza dell’operazione ad un di lui interesse. In sostanza, il dovere di trasparenza, nell’ipotesi di conflitto di interesse, è certamente più incisivo e deve rendere l’investitore il più possibile edotto delle operazioni di investimento proposte. Solo in questo senso, ossia a fronte di un’informazione completa ed efficace, idonea a raggiungere la sfera cognitiva dell’investitore ed a colmare il gap conoscitivo inevitabile, resa anche alla luce del criterio dell’equo trattamento evidenziato dall’art. 21, I comma, lett. a) del T.U.F., la banca può dimostrare di aver ottemperato a disposizioni legislative, come integrate dal regolamento CONSOB, in ossequio alla tutela costituzionale del risparmio ex art. 47 Cost..
Nel caso in esame, la teste M.M. ha confermato che il N. aveva dato ordine di disinvestire obbligazioni del Banco **** a tasso variabile e che aveva chiesto di acquistare obbligazioni Cirio per € 25.000,00; che contestualmente aveva chiesto di acquistare obbligazioni Turchia per € 25.000,00; che non ricordava se al cliente fossero state fornite informazioni circa la tipologia dei titoli, anche se dal tenore della telefonata poteva desumersi che in una conversazione precedente fosse stato fatto accenno al profilo del rischio; che non ricordava se nel trattare i titoli fosse stato fatto riferimento a Cirio od a Cirio Luxemboug.
Da tali dichiarazioni è emersa, senza subbio, un’informativa decisamente incompleta e lacunosa, quanto ai rischi, probabilmente, ma non sicuramente illustrati in una conversazione precedente al febbraio 2001, quanto addirittura alla denominazione precisa dei titoli, quanto al conflitto di interessi, totalmente omesso.
Poste tali premesse in fatto, vanno ora analizzate le richieste attoree.
Ora, con riguardo alla domanda svolta in via principale, il Tribunale non ignora che si è sviluppato un significativo orientamento giurisprudenziale volto a sanzionare con la nullità la violazione di norme che, incidendo sia sulla tutela dei risparmiatori uti singuli, sia sul risparmio pubblico protetto a livello costituzionale, ha ravvisato tale rimedio come quello più consono a tali fattispecie (v. Trib. Parma, 6 luglio 2005; Tribunale Genova, 18 aprile 2005; Tribunale Venezia, 29 settembre 2005). Ritiene, tuttavia, di discostarsene in quanto la sanzione civilistica più severa della nullità deve trovare ingresso solo nelle fattispecie espressamente previste dal legislatore e non può essere estesa a tutta l’area delle norme comportamentali di carattere generale, (quali la professionalità, la diligenza, la correttezza, l’indipendenza, la trasparenza); norme che, in quanto prive di specificità, debbono essere disegnate di volta in volta, facendosi ricorso al generale concetto della buona fede e del corretto e ragionevole equilibrio tra i contrapposti interessi contrattuali.
Sul punto, il Tribunale ha già chiarito che “la voluta distinzione tra adempimenti prescritti a pena di nullità ed altri obblighi di comportamento pure posti a carico dell’intermediario, impedisce una generalizzata qualificazione di tutta la disciplina dell’intermediazione mobiliare come di ordine pubblico e, ultimamente, presidiata dalla cd. nullità virtuale di cui all’art. 1418, I comma c.c.” ( sentenza n. 7555/05; v. anche Trib. Rovereto, 18 gennaio 2006).
Una simile conclusione non esclude certamente il carattere imperativo delle norme citate in tema di obblighi comportamentali: si tratta di disposizioni inderogabili, è vero, ma - come anche sostenuto da autorevole dottrina - né la natura imperativa di tali obblighi, né le caratteristiche degli interessi tutelati sono idonee a far sorgere una simile sanzione, al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge.
Infine, l’art. 23 VI comma, D. lgs. n. 58/199 circoscrive l’inversione dell’onere probatorio ai giudizi di risarcimento dei danni cagionati ai clienti nello svolgimento dei servizi e tale rimedio non è certamente inscrivibile nella categoria delle nullità.
Quanto alle domande di annullamento per vizio del consenso, parte attorea non ha allegato e, quindi, neppure dimostrato la sussistenza di un errore essenziale e riconoscibile, tale da incidere causalmente sul processo formativo della volontà. Come, del resto, neppure ha fornito sufficienti allegazioni in punto di dolo ed una tale carenza - che, ovviamente, si riflette sul piano probatorio - determina la reiezione oltre che della domanda di annullamento, anche della domanda di risarcimento del danno morale conseguente al reato di cui all’art. 640 c.p..
Va, invece, accolta la domanda risarcitoria, stante l’inadempimento da parte della convenuta, in considerazione della scarsa informazione in generale sui titoli ed, in particolare, dell’assenza totale di informazione in merito alla situazione di conflitto di interessi in cui versava in modo significativo il Banco ****.
A questo proposito, la Difesa del BANCA ** ha osservato che il N. era cliente tutt’altro che sprovveduto, in particolare, sottolineando la diversificazione del di lui portafoglio titoli. Infatti, a smentita del carattere tranquillo degli investimenti attorei, la banca ha dimostrato, mediante la produzione di un prospetto riassuntivo del contenuto del deposito amministrato degli attori alla data del 15 febbraio 2001, dell’estratto conto dei movimenti del deposito dal dicembre 2000 al maggio 2001 e degli estratti conto del deposito sino al marzo 2003 (v. docc.ti nn. 3, 4, 5) che il N. era dotato di una competenza specialistica assolutamente spiccata in merito agli investimenti in strumenti finanziari; tanto da poter procedere ad investimenti decisamente rischiosi quali i cd. reverse floater, gli step down, gli strutturate. Si tratta di elementi certamente significativi, in base ai quali va, senza dubbio, calibrata l’informazione da dare al cliente; dal momento che è ovvio che l’intermediario non dovrà fornire ad un investitore sofisticato le stesse informazioni che deve riversare a chi ha sempre investito in titoli conservativi o investe per la prima volta o ha comunque una liquidità decisamente modesta. Certo è, però, che, come nel caso in esame, le informazioni circa la sussistenza del conflitto di interessi non sono state minimamente fornite. Vero è che è onere del cliente dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la mancata o incompleta informativa e l’investimento effettuato; onere che si sostanzia nella ragionevole probabilità, che il cliente, ove fosse stato reso edotto della situazione di conflitto di interessi, si sarebbe astenuto dal compiere un investimento così altamente pregiudizievole. Tuttavia, nel caso in esame, detta prova è ricavabile proprio dal profilo professionale del N., alla luce del portafoglio titoli. Il N., infatti, innanzitutto non è stato posto nella condizione di effettuare una benché minima valutazione circa la rischiosità del prodotto de quo.
Né può sostenersi - contrariamente a valutazioni ancorate al profilo dell’adeguatezza di cui all’art. 29 regolamento CONSOB Intermediari - che l’attore fosse in grado di effettuare simili valutazioni senza l’apporto conoscitivo da parte della banca; elementi attinenti all’adeguatezza possono, forse, essere anche apprezzati da un profondo conoscitore del mercato, abituato a gestire patrimoni rilevanti, perché, in certo qual modo, sono enucleabili da notizie di stampa specialistiche, da osservazioni attente del mercato finanziario e delle relative oscillazioni.
Diversamente, la condizione di conflitto di interessi non è elemento palese. È, quindi, ragionevolmente probabile che un investitore esperto quale il N. non avrebbe effettuato una simile operazione, così rischiosa, proprio in quanto proveniente da chi, potenzialmente, intendeva ridurre la propria esposizione nei confronti del gruppo Cirio. E ciò a tacer del fatto che, in ogni caso, oltre alla puntuale informazione, è necessaria una specifica autorizzazione ad effettuare quell’investimento.
Da tutte tali considerazioni si può desumere, quindi, che il N. non sia stato posto in condizione di effettuare una scelta meditata e consapevole.
Accertato il grave inadempimento a carico di parte convenuta, la stessa va condannata al risarcimento dei danni costituiti dall’importo impiegato nell’investimento in questione, oltre interessi legali dalla notifica della citazione (30 dicembre 2004) al saldo e detratti, da tale somma il valore attuale dei titoli e l’importo delle cedole percepite.
Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come indicato in dispositivo.
P.Q.M.
il Collegio, definitivamente decidendo sulla causa n. 85627/04 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
1) previa declaratoria di inadempimento della parte convenuta, condanna BANCA ** s.p.a. in persona del Dott. Paolo Novelli in qualità di responsabile della funzione contenzioso della banca al pagamento, in favore di A. N. e di V. G., della somma di € 25.162,00 – oltre interessi legali dal 30 dicembre 2004 al saldo e detratti gli importi corrispondenti al valore attuale dei titoli e delle cedole percepite;
2) condanna BANCA ** s.p.a. in persona del Dott. ** in qualità di responsabile della funzione contenzioso della banca, a rimborsare, in favore di A. N. e di V. G., le spese processuali, che liquida in complessivi € 7.562,92 - di cui € 5.336,67 per onorari, € 1.910,00 per diritti, € 316,25 per spese, oltre accessori come per legge.
Così deciso dal Tribunale come sopra composto e riunito in Camera di Consiglio in data 22 novembre 2006.
Il Giudice relatore
Dott. Silvia Brat
Il Presidente
Dott. Alda Maria Vanoni