Diritto Fallimentare
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 917 - pubb. 01/07/2007
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Appello Catania, 20 Ottobre 2000. .
In caso di successione di un istituto di credito ad altro, e di esercizio di azione revocatoria contro l’istituto succeduto determinata da fatti anteriori all’evento successorio, se l’istituto che ha dato causa alla successione è sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, con conseguente competenza di un giudice diverso, resta ferma la competenza del giudice dinanzi al quale è stata introdotta l’azione revocatoria discendente dal rapporto tra l'istituto dante causa e un suo cliente anteriore alla verificatasi successione.
La cessione ad altro istituto di credito delle attività e passività di una banca posta in liquidazione coatta amministrativa non può assimilarsi ad un trasferimento d'azienda cui vada applicata la norma dell’art. 2560 cod. civ. e pertanto, tranne espressa esclusione, l’istituto cessionario risponde dei debiti derivanti dai rapporti in corso al momento della cessione e tra essi quelli dipendenti dall'esercizio di una revocatoria fallimentare introdotta contro l'istituto cedente, ancorché il debito scaturente dall' esercizio della revocatoria non sia stato considerato nei libri contabili obbligatori della cedente.
L’ammissione al passivo del credito residuo vantato dall'accipiens non preclude la revoca dei pagamenti parziali effettuati dal solvens poi fallito.
La scientia decoctionis può essere provata mediante presunzioni e la qualità del soggetto convenuto in revocatoria assume notevole rilievo nella valutazione degli elementi indiziari, dovendosi ritenere che un Istituto di credito per la sua struttura e la sua organizzazione abbia, rispetto ad altri soggetti la possibilità di conoscere l'effettiva situazione dei propri clienti.
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Con atto di citazione notificato il 18 luglio 1992 il curatore del fallimento della Autoetna di Patané Salvatore, a ciò autorizzato con provvedimento emesso dal giudice delegato al fallimento, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catania la Sicilcassa soc. a resp. lim.; esponeva che con decreto emesso dallo stesso Tribunale in data 25 giugno 1987 la ditta individuale Autoetna di Patané Salvatore era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo e che con successiva sentenza emessa in data 28 aprile 1988 il Patané era stato dichiarato fallito; deduceva che il fallito, sin da 1986, aveva intrattenuto con la Sicilcassa soc. per az. il rapporto di conto corrente bancario n. 93002/20, con affidamento sino ad un importo di lire 20.000.000; deduceva che nell'anno anteriore all'ammissione del Patané alla procedura di concordato preventivo, nel predetto conto, che presentava costantemente saldi passivi nettamente superiori al fido concesso, erano confluite alcune rimesse aventi natura solutoria e destinate a diminuire lo scoperto di conto, e precisamente: lire 68.180.000 in data 29 luglio 1986; lire 53.744.000 in data 5 agosto 1986; lire 32.836.000 in data 8 agosto 1986 e lire 21.000.000 in data 15 gennaio 1987; deduceva che tali versamenti dovevano ritenersi revocabili, ai sensi dell'art. 67, comma 2, legge fallim., poiché la Sicilcassa soc. per az. al momento dei predetti versamenti era pienamente consapevole dello stato di decozione in cui versava il Patanè; poi dichiarato fallito; chiedeva, pertanto, dichiararsi inefficaci nei confronti della massa fallimentare i predetti versamenti pari a complessive lire 175.760.000, eseguiti dal Patanè in favore della convenuta, con la condanna di quest'ultima alla restituzione di tale somma in favore della curatela, oltre interessi e rivalutazione dalla domanda al soddisfo, con vittoria di spese e compensi.
Costituitosi il contraddittorio, la Sicilcassa soc. per az. contestava la fondatezza della domanda; deduceva, preliminarmente, che l'azione revocatoria era da ritenersi preclusa in seguito all'avvenuta ammissione in via definitiva del credito vantato nei confronti del fallito in virtù dello scoperto del medesimo conto corrente, con conseguente formazione del giudicato sulla esistenza ed entità del credito di essa convenuta; contestava la dedotta natura solutoria dei versamenti impugnati, rilevando che le rimesse erano servite esclusivamente a ripristinare la provvista, tant'è che il fallito aveva continuato ad operare sul conto, operando successivi prelevamenti, sino al momento della chiusura del conto, che era avvenuta solo in data 6 marzo 1987; contestava di essere a conoscenza dello stato d'insolvenza del correntista poi fallito al momento dei versamenti impugnati; contestava, in subordine, di essere tenuta alla corresponsione degli interessi e della rivalutazione; chiedeva, quindi, il rigetto della domanda, con vittoria di spese e compensi.
In corso di causa venivano acquisiti i documenti prodotti dalle parti; con ordinanza del 3 febbraio 1994 il G.I. rigettava una richiesta di CTU; indi, sulle conclusioni precisate dalle parti, come da relativo verbale in atti, la causa veniva rimessa all'udienza collegiale per la discussione.
All'udienza collegiale del 25 settembre 1997, essendo stato dichiarato dal procuratore ad litem di parte convenuta che la Sicilcassa soc. per az. era stata posta in liquidazione coatta amministrativa, il tribunale dichiarava interrotto il procedimento.
Con atto di riassunzione notificato in data 7 aprile 1998 la curatela provvedeva a riassumere il giudizio nei confronti della Sicilcassa soc. per az. in liquidazione coatta amministrativa, e nei confronti del Banco di Sicilia soc. per az., Divisione Sicilcassa, quale soggetto subentrato alla Sicilcassa soc. per az. nei rapporti giuridici pendenti in forza dell'atto di cessione di attività e passività in Notaio Serio da Palermo del 6 settembre 1997.
Con comparsa di costituzione depositata il 25 settembre 1998 si costituivano in giudizio i commissari liquidatori della Sicilcassa soc. per az. in l.c.a., eccependo, preliminarmente, l'inammissibilità e l'improcedibilità della domanda, sia perché, ai sensi dell'art. 83, n. 3, d.lgs. n. 385 dello settembre 1993, dalla data d'insediamento dei commissari liquidatori non poteva essere proseguita alcuna azione nei confronti della liquidazione coatta amministrativa ed ogni pretesa avente carattere patrimoniale doveva essere accertata nelle forme stabilite per l'accertamento del passivo, sia perché, ai sensi del t.u. legge bancaria, per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione coatta era competenze esclusivamente il Tribunale di Palermo, sede dell'istituto di credito assoggettato alla procedura liquidatoria; in subordine contestavano nel merito i presupposti della domanda, reiterando le difese precedentemente spiegate, e ne chiedevano il rigetto, con il favore delle spese.
Con comparsa di costituzione depositata in data 25 settembre 1998 si costituiva in giudizio anche il Banco di Sicilia soc. per az., Divisione Sicilcassa, eccependo, in via preliminare, la propria carenza di legittimazione passiva, in quanto l'atto di cessione delle attività e passività del 6 settembre 1997 in Notaio Serio da Palermo non ricomprendeva il preteso credito vantato dalla curatela attrice; deduceva che, con il predetto atto di cessione di attività e passività posto in essere in conformità a quanto disposto dal T . U. Legge Bancaria, la Sicilcassa soc. per az. in l.c.a. aveva ceduto al Banco di Sicilia solo le passività esistenti al momento della cessione, tra le quali non poteva ricomprendersi quella derivante dalla revocatoria instaurata da parte attrice, e che, in ogni caso, in forza dell'espressa pattuizione intercorsa inter partes, il Banco cessionario poteva essere chiamato a rispondere delle passività oggetto della cessione solo nella misura in cui esse fossero risultate dallo stato passivo formate ai sensi dell'art. 90 T. U. legge bancaria; eccepiva, altresì, in via preliminare l'improponibilità dell'azione in base al T.U. legge bancaria per ragioni analoghe a quelle fatte valere dalla Sicilcassa soc. per az. in l.c.a.; contestava, nel merito, l'esistenza sia del presupposto soggettivo che di quello oggettivo richiesto dall'art. 67 legge fallim., anche in considerazione del fatto che il rapporto di conto corrente intrattenuto dal Patané si era sciolto con la dichiarazione di fallimento di quest'ultimo avvenuta in epoca di gran lunga anteriore all'atto di cessione delle attività e passività, e quindi non poteva essere ricompreso tra i rapporti in corso al momento della cessione; chiedeva, quindi, preliminarmente dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva ed in subordine l'improponibilità della domanda; nel merito chiedeva il rigetto della domanda con vittoria di spese e compensi.
La curatela, con memoria di replica depositata in data 5 ottobre 1998, contestava tutte le eccezioni proposte in via preliminare dai convenuti chiedendone il rigetto; deduceva che il giudizio era stato proseguito nei confronti della Sicilcassa soc. per az. in l.c.a. in forza della competenza funzionale spettante al Tribunale fallimentare ex art. 24 legge fallim. per la pronunzia di revoca; rilevava che il credito litigioso oggetto del giudizio rientrava per espressa previsione delle parti tra quelli oggetto dell' atto di cessione d'attività e passività, per cui il cessionario Banco di Sicilia era tenuto a risponderne.
Il tribunale, con sentenza del 9 dicembre 1998, disattendeva le sollevate eccezioni di improponibilità (o improseguibilità) della domanda e di incompetenza del giudice adito, nonché le eccezioni preliminari sollevate dal Banco di Sicilia circa l'esclusione dalla cessione in favore dello stesso del credito costituente oggetto dell'azione revocatoria in corso, e, ritenuta viceversa l'intervenuta successione a titolo particolare in tale credito del detto Istituto, affermava la responsabilità di quest'ultimo in ordine all'eventuale debito di restituzione conseguente alla revoca dei pagamenti, ai sensi dell' art. 111 cod. proc. civ., rigettando l'ulteriore eccezione di giudicato sollevata dalla Sicilcassa sotto il profilo che l'ammissione al passivo del fallimento del credito residuo vantato dall' accipiens precluderebbe la revoca dei pagamenti parziali effettuati dal solvens poi fallito; accoglieva pertanto la domanda del- la curatela, ritenendo sussistenti nella specie tutti i presupposti richiesti dall'art. 67, comma 2, legge fallim., dichiarando conseguentemente l'inefficacia dei predetti pagamenti nei confronti della massa dei creditori del fallimento della Autoetna e condannando il Banco di Sicilia, Divisione Sicilcassa, alla restituzione della somma di lire 175.760.000, oltre interessi legali dalla domanda, ed al rimborso in favore della curatela delle spese processuali. Avverso la detta sentenza il Banco di Sicilia proponeva appello avanti a questa Corte, con atto notificato il 14 aprile 1999, chiedendo che, in riforma della stessa, fosse rigettata la domanda della curatela e sollecitando, in subordine, una consulenza tecnica volta ad accertare la natura, solutoria o ripristinatoria, delle rimesse in oggetto. La curatela, costituitasi, deduceva l'infondatezza dell'impugnazione e ne chiedeva il rigetto; inoltre, in via incidentale, chiedeva riformarsi l'impugnata sentenza nella parte in cui aveva negato il diritto dell'attrice al risarcimento del maggior danno conseguente alla svalutazione monetaria. Si costituiva anche la Sicilcassa in l.c., la quale, mediante appello incidentale, chiedeva accogliersi le eccezioni di improseguibilità della domanda, di incompetenza e di giudicato, sollevate in primo grado e disattese dal Tribunale, e, nel merito, rigettarsi la domanda della curatela per insussistenza dei presupposti previsti dalla legge per l'esercizio dell'azione revocatoria.
Motivi della decisione
Il tribunale rigettò le eccezioni di improseguibilità della domanda e di incompetenza (sollevate dalla Sicilcassa in l. c.a. sotto il profilo che, ai sensi dell'art. 83 n. 3, d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993, dalla data di insediamento dei commissari liquidatori nessuna azione poteva essere proseguita nei confronti della liquidazione, dovendo ogni pretesa di natura patrimoniale accertarsi nelle forme stabilite dalla legge per l'accertamento del passivo, e che per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione coatta era competente esclusivamente il Tribunale di Palermo, luogo in cui aveva sede l'Istituto assoggettato alla procedura liquidatoria) ed osservò che, da un lato, l'azione promossa dalla curatela aveva per oggetto un diritto che non preesisteva nel patrimonio del fallito, ma discendeva dalla dichiarazione di fallimento, per cui la relativa azione rientrava nella competenza funzionale del tribunale fallimentare, ai sensi dell'art. 24 legge fallim., e che, dall'altro, secondo l'orientamento della suprema Corte, mentre il tribunale che ha dichiarato il fallimento del debitore che ha posto in essere l'atto pregiudizievole resta competente a decidere, nelle forme ordinarie, circa l'inefficacia o meno dell'atto impugnato, le pronunzie conseguenziali alla declaratoria di inefficacia competono al tribunale che ha dichiarato il fallimento del convenuto; disattese altresì l'eccezione del Banco di Sicilia, secondo cui il rapporto oggetto del giudizio non rientrerebbe nella cessione operata con atto 6 settembre 1997 in notar Serio, che riguarderebbe solo le passività esistenti al momento del rogito, ed osservò in proposito che dall'atto di cessione risultava il trasferimento in favore del Banco di Sicilia di tutte le attività e passività della Sicilcassa esistenti alla data dell'atto stesso, «ivi compreso il valore dei giudizi attivi e passivi», e che non risultava alcun patto di esclusione dell'accollo di eventuali debiti di restituzione nascenti dalle azioni revocatorie in corso al momento della cessione; ritenne pertanto sussistenti la legittimazione passiva e la responsabilità del Banco di Sicilia, quale successore a titolo particolare, ai sensi dell' art. 111 cod. proc. civ., e disattese anche l'eccezione di giudicato, sollevata dalla Sicilcassa, sotto il profilo sopra evidenziato, richiamando la giurisprudenza del supremo Collegio, secondo cui la definitiva ammissione al passivo del credito residuo vantato dall' accipiens non preclude la revoca dei pagamenti parziali effettuati dal solvens poi fallito; ritenne infine sussistenti i presupposti per l'esperimento dell'azione revocatoria, e cioè il presupposto temporale (riferito nella specie alla data di ammissione alla procedura di concordato preventivo), il presupposto oggettivo (natura solutoria dei pagamenti di cui trattasi, dal momento che alle date delle effettuate rimesse il conto presentava un saldo passivo di gran lunga superiore al limite del fido accordato) ed il presupposto soggettivo (ossia la conoscenza da parte del Banco dello stato di insolvenza del solvens, desumibile dalle lettere inviate al Patanè, nelle quali si rilevava, tra l'altro, che il conto corrente risultava immobilizzato in eccedenza da lungo tempo, con saldo debitore eccedente di lire 84.000.000 circa il fido, e che risultavano contabilizzati al conto in tolleranza effetti scontati protestati per circa lire 60.000.000). Riveste carattere preliminare l'esame dei primi due motivi dell'appello incidentale della Sicilcassa in l.c.a., con i quali si reiterano le eccezioni di improponibilità ed improseguibilità della domanda e di incompetenza del giudice adito e si sostiene l'erroneità della sentenza impugnata, che ha rigettato le suddette eccezioni sulla base delle argomentazioni sopra esposte; si deduce la violazione del disposto dell'art. 83 d.lgs. lo settembre 1993, n. 385, a norma del quale è preclusa nei confronti della banca in liquidazione coatta amministrativa la prosecuzione di ogni azione individuale ed è competente a conoscere delle azioni civili di qualsiasi natura nei confronti di un Istituto in l.c.a. il tribunale del luogo in cui tale istituto ha sede legale. In particolare, la Sicilcassa, in ordine alla prima eccezione, richiama il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui durante la fase amministrativa di accertamento dello stato passivo davanti ai competenti organi della liquidazione deve ritenersi il difetto temporaneo di giurisdizione, con conseguente improponibilità ed improseguibilità della domanda giudiziale, atteso che ogni credito nei confronti dell'impresa in liquidazione coatta amministrativa deve essere riconosciuto ed ammesso mediante la procedura di verifica dello stato passivo; ed in ordine alla seconda eccezione rileva l'erronea interpretazione del citato art. 83, che, secondo il tribunale, riguarderebbe le azioni legali attinenti alla liquidazione e non quelle ad essa preesistenti. Osserva in proposito la corte che, anche prescindendo dalle altre considerazioni svolte nella sentenza impugnata, è sufficiente obiettare che l'anzidetto principio non può trovare applicazione nella fattispecie in esame, in cui, dopo la dichiarata interruzione del processo per la messa in liquidazione della Sicilcassa, il giudizio è stato proseguito e la pronunzia è stata emessa nei confronti del Banco di Sicilia, quale successore a titolo particolare della Sicilcassa, ai sensi dell' art. 111 cod. proc. civ.
Con il primo motivo dell'appello principale (ricalcato dal terzo motivo dell'appello incidentale della Sicilcassa) si censura la statuizione con la quale il tribunale ha ritenuto la successione del Banco di Sicilia nella titolarità del rapporto in contestazione; si assume che, ai sensi dell'art. 90, comma 2, del richiamato t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con d.1gs. lo settembre 1993, n. 385, in caso di cessione delle attività e passività della Banca in liquidazione coatta amministrativa, la cessionaria risponde delle sole passività risultanti dallo stato passivo e che tale limitazione di responsabilità ha trovato espressa conferma nell'art. 2 dell'atto di cessione del 6 giugno 1997, che prevede la cessione, ai sensi della sopra richiamata disposizione, dalla Sicilcassa al Banco di Sicilia di tutte le attività e passività esistenti alla data dell'atto stesso (salvo alcune esclusioni) e dispone che «la cessionaria risponde delle passività oggetto della cessione soltanto nella misura in cui esse risultino dallo stato passivo ai sensi del citato art. 90, comma 2, del Testo Unico»; si deduce che il tribunale ha erroneamente interpretato le norme del Testo Unico e le clausole dell'atto di cessione, ricomprendendo nella cessione tutti i giudizi in corso, e si sostiene che non tutti i giudizi in corso al momento della cessione hanno formato oggetto di tale cessione e che, in particolare, devono ritenersi escluse dalla cessione le revocatorie fallimentari in corso, per le quali non era possibile, al momento della stipula del contratto, determinare non solo l'esito, ma anche l'ammontare.
L'assunto non può essere condiviso. Ed invero, come già rilevato nel- l'impugnata sentenza, esso trova smentita proprio nella formulazione letterale delle clausole contenute nell'invocato art. 2 dell'atto di cessione, in cui viene espressamente precisato che tale cessione comprende «ogni diritto, ragione, azione ed obbligo, spettante a qualsiasi titolo alla Sicilcassa soc. per al. in l.c.a., ... ivi compresi i giudizi attivi e passivi in corso», ed in cui, pur escludendo si dalla cessione alcune attività e passività ed alcune azioni, non si fanno rientrare in tali esclusioni le azioni revocatorie né i debiti da esse nascenti. Ed inoltre nella valutazione dei rapporti obbligatori attivi e passivi costituenti oggetto della cessione viene «compreso il valore dei giudizi attivi e passivi». Appare allora evidente che il riferimento alle passività risultanti dallo stato passivo non comporta l'esclusione dalla cessione dei debiti eventualmente nascenti dal positivo esperimento delle azioni revocatorie, ma va inteso nel senso che per le passività già esistenti alla data della cessione la responsabilità del cessionario rimane limitata a quelle accertate in seno allo stato passivo.
Pertanto questa corte non può che far proprie le puntuali ed ineccepibili argomentazioni al riguardo svolte nella sentenza impugnata, il chè comporta anche la reiezione del secondo motivo dell'appello del Banco di Sicilia (e del quarto motivo dell'appello incidentale della Sicilcassa), con cui si deduce l'erronea applicazione da parte del tribunale dell'art. 1362 cod. civ., per la considerazione che le clausole del contratto di cessione non si prestano ad interpretazioni, essendo chiare e precise: la proposizione va infatti ribaltata, non potendosi, di fronte alla inequivoca disposizione sopra richiamata (che comprende espressamente tra le attività e le passività cedute anche i giudizi attivi e passivi in corso), accedere all'interpretazione propugnata dall'Istituto appellante.
Analoghe osservazioni valgono per il terzo motivo di gravame (coincidente con il quinto dell'appello incidentale della Sicilcassa), con il quale si deduce l'erroneo riferimento operato dal tribunale all' art. 111 cod. proc. civ., che presuppone il trasferimento a titolo particolare del rapporto controverso, trasferimento che, secondo l'appellante, non si sarebbe nella specie verificato. Con il quarto motivo il Banco di Sicilia assume che, «anche a voler con- siderare la cessione delle attività e passività della Sicilcassa quale cessione di azienda, la domanda della curatela deve considerarsi improcedibile ed inammissibile, stante che l'art. 2560 cod. civ. stabilisce che il cessionario risponde dei debiti relativi alla azienda ceduta soltanto se essi risultano dai libri contabili obbligatori» (e nella specie il credito della curatela, essendo oggetto di contestazione giudiziaria, non risultava e non poteva risultare dai libri contabili della Sicilcassa).
Osserva in proposito il collegio che, anzitutto, la cessione ad altro istituto delle attività e delle passività di una banca posta in liquidazione coatta amministrativa non può assimilarsi ad un trasferimento di azienda e che, comunque, non appare decisivo il riferimento all'art. 2560 cod. civ. che mira a tutelare, da un lato, i creditori dell' alienante, che rimane liberato dai debiti solo se i creditori vi consentano, e, dall'altro, l'acquirente, la cui responsabilità viene esclusa per i debiti che, non risultando dai libri contabili, non potevano essere da lui conosciuti (situazione certamente diversa da quella che ricorre nel caso in esame, in cui nel contratto di cessione sono espressamente specificate le passività che vengono trasferite al cessionario e si comprendono tra esse, come più volte rilevato, quelle connesse ai giudizi in corso).
Va a questo punto esaminato il sesto motivo dell' appello incidentale della Sicilcassa, con il quale viene reiterata l'eccezione di giudicato sollevata in primo grado e disattesa dal tribunale, sotto il profilo che la proposizione dell'azione revocatoria fallimentare sarebbe preclusa in conseguenza della definitiva ammissione al passivo del fallimento di un credito del Patanè fondato sul medesimo rapporto di conto corrente da costui intrattenuto ed al quale si riferiscono le rimesse costituenti oggetto del giudizio. .)
Il primo giudice ha rigettato l'eccezione osservando che, «secondo l'orientamento pacifico in giurisprudenza, la definitiva ammissione al passivo del credito residuo vantato dall' accipiens non preclude la revocabilità dei pagamenti parziali effettuati dal solvens poi fallito, né è richiesta alcuna riserva di agire in revocatoria al momento dell'ammissione al passivo, in quanto l'accertamento di un credito in sede concorsuale non influisce sull'accertamento autonomamente richiesto al giudice ordinario in ordine alla validità o all'efficacia del singolo atto solutorio posto in essere inter partes in costanza del loro rapporto di durata». Poiché la Sicilcassa non ha in alcun modo censurato siffatte argomentazioni (che peraltro questa corte piena- mente condivide, trovando esse riscontro in numerose sentenze del supremo Collegio, menzionate nella sentenza impugnata), il motivo risulta inammissibile.
Il quinto motivo dell'appello principale ed il settimo motivo di quello incidentale attengono al merito dell'azione revocatoria.
L'impugnata sentenza viene anzitutto censurata per aver ritenuto sussistente il presupposto soggettivo della scientia decoctionis sulla base di presunzioni desunte dalla qualità del soggetto accipiens e dalla mera conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore, in contrasto con la previsione del- l'art. 67 legge fallim., che richiede viceversa la prova, da parte della curatela, della effettiva conoscenza del detto stato; si assume al riguardo che il ritardo in taluni pagamenti e le lettere di sollecitazione rivolte al correntista non possono costituire sufficiente dimostrazione dell'esistenza del presupposto in esame.
Osserva al riguardo la corte che, se è vero che incombe sulla curatela l'onere di provare la scientia decoctioms e che quest'ultima non può intendersi come mera conoscibilità astratta, è altresì vero che, secondo un costante e consolidato orientamento giurisprudenziale, la ricorrenza del suddetto elemento può essere provata anche mediante presunzioni e che la qualità del soggetto convenuto in revocatoria assume notevole rilievo nella valutazione degli elementi indiziari, dovendosi ritenere che un istituto di credito, per la sua struttura e per la sua organizzazione, abbia, rispetto ad altri soggetti, maggiori possibilità di conoscere l'effettiva situazione dei propri clienti. Sulla base di tali premesse, poste in risalto nella sentenza impugnata, appare corretta la conclusione cui è pervenuto il tribunale, che ha desunto la scientia decoctionis da alcuni elementi probatori particolarmente significativi acquisiti in processo, e cioè da una lettera datata 21 novembre 1986, indirizzata, oltre che al Patanè, all'Ispettorato Rischi di Palermo ed all'Ufficio Vigilanza Rischi della Provincia di Catania (con la quale la banca rilevava che il conto del Patanè recava un saldo debitore superiore di circa 84 milioni al limite del fido e che risultavano contabilizzati al conto tolleranza effetti scontati protestati per circa 60 milioni ed invitava il Patanè a ripianare l'esposizione debitoria, assumendo di non poter ulteriormente tollerare tale situazione), da un telegramma del 23 dicembre 1986 (con il quale il Patanè veniva invitato a recarsi urgentemente presso la banca per motivi che lo riguardavano) e da una lettera del 6 marzo 1987 (con la quale veni- vano revocati i fidi accordati al Patanè e veniva dettagliatamente descritta la pesante situazione debitoria del medesimo). A fronte di tali risultanze non può condividersi l'assunto dell'appellante secondo cui le lettere di sollecitazione al pagamento ed il ritardo in taluni pagamenti non assumerebbero un significato univoco al fine della dimostrazione della scientia decoctionis e vanno viceversa condivise le considerazioni svolte nell'impugnata sentenza dal tribunale, che ha ritenuto acquisita la prova del presupposto soggettivo, osservando che i primi tre versamenti oggetto di revocatoria erano avvenuti nel luglio e nell'agosto 1986, e cioè in un periodo in cui il conto era costantemente passivo ben oltre il limite del fido accordato, e che l'ultima rimessa risaliva al gennaio 1987 ed era quindi ad- dirittura successiva alla citata lettera del 15 gennaio 1987 e rilevando altresì l'inconducenza della circostanza addotta dalla banca (l'essere stato il conto chiuso solo dopo alcuni mesi dagli effettuati versamenti) alla luce del principio, più volte affermato dalla suprema Corte, secondo cui non può escludersi che il creditore, pur pienamente consapevole dello stato di dissesto del fallendo, continui il rapporto con costui nella speranza di ottenere il paga- mento di notevoli precedenti esposizioni debitorie. Per quanto concerne le censure attinenti al presupposto oggettivo l'appellante principale sostiene anzitutto che, essendosi il contratto di conto corrente sciolto con l'ammissione dell'impresa alla procedura concorsuale, verificatasi prima della stipula dell'atto di cessione, e non potendo si quindi il rapporto di conto corrente far rientrare tra quelli in corso al momento di tale cessione, la banca cessionaria non può essere chiamata a rispondere di pretesi debiti per rimesse in un conto corrente già estinto. L'argomento risulta superato da quanto in precedenza osservato circa la portata della effettuata cessione, nella quale devono ritenersi compresi i diritti e gli obblighi connessi ai giudizi in corso.
La doglianza risulta viceversa parzialmente fondata nella parte in cui si deduce che le operazioni effettuate dal correntista non avevano funzione solutoria, ma ripristinatoria della provvista, e che la curatela avrebbe dovuto dimostrare quale parte dei versamenti fosse stata operata oltre il limite dell'affidamento, per cui non poteva il tribunale ritenere revocabile l'intera somma risultante dalle rimesse in conto nel periodo sospetto, senza alcun riferimento all'importo rientrante nell'affidamento concesso al correntista.
Osserva in proposito la Corte che è pacifico in atti che il limite del fido era di lire 20.000.000, onde occorre accertare non tanto (come asserito dal tribunale) se ed in qual misura i quattro versamenti di cui si è chiesta la revoca siano affluiti su un conto «scoperto», in seguito allo sconfinamento dal fido, oppure su un conto meramente «passivo», e cioè con un saldo passivo rientrante nei limiti del fido accordato, quanto accertare se le rimesse in questione siano servite a ripristinare, in tutto o in parte, la provvista o se, nonostante l'effettuazione delle stesse, il passivo del conto sia rimasto eccedente l'importo del fido, poiché, secondo l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale cui si fa riferimento nell'impugnata sentenza, la rimessa ha natura solutoria, ed è quindi soggetta a revoca, in quanto lesiva della par condicio, solo se non giova (o nella parte in cui non giova) a ricondurre la scopertura nei limiti del fido. li primo giudice ha ritenuto la natura solutoria dei pagamenti per la considerazione che «al momento in cui furono effettuate tutte e quattro le rimesse oggetto del giudizio... il conto presentava un saldo passivo di gran lunga superiore al limite del fido accordato», sicché le dette rimesse apparivano manifestamente finalizzate al ripianamento, sia pure parziale, del saldo passivo del conto, non assumendo rilevanza il fatto che dopo ciascun versamento il correntista avesse effettuato dei prelevamenti, atteso che ciò che rileva ai fini della revocatoria fallimentare è il singolo atto estintivo dell'obbligazione, che va valutato nel momento in cui esso viene compiuto dal correntista, a prescindere dall'ulteriore erogazione del credito eventualmente consentita dalla banca.
Orbene, se la conclusione cui è pervenuto il tribunale è indubbiamente esatta per gli ultimi tre pagamenti (lire 53.744.000 versate in data 5 agosto 1986, lire 32.836.000 versate in data 8 agosto 1986 e lire 21.000.000 versate in data 15 gennaio 1987) - atteso che, come risulta dal prodotto estratto conto, tali versamenti hanno fatto discendere l'esposizione debitoria rispettivamente a lire 71.137.150, a lire 38.301.150 ed a lire 88.879.108, e quindi ad importi pur sempre eccedenti l'ammontare del fido -, altrettanto non può dirsi per il primo versamento di lire 68.180.000 effettuato il 29 luglio 1986, per effetto del quale il saldo passivo del conto si ridusse a lire 1.804.230. E’ evidente, dunque, che tale versamento servì a ripristinare quasi per intero la provvista - esattamente per lire 18.195.770, pari alla differenza tra l'importo del fido ed il residuo saldo passivo di lire 1.804.230 - e che pertanto la parte di esso avente natura solutoria e soggetta a revocatoria va limitata a lire 49.984.230 (lire 68.180.000 -lire 18.195.770) e la condanna del Banco di Sicilia alla restituzione va ridotta a lire 157.564.230, risultando superfluo il sollecitato accertamento tecnico volto alla determinazione dell'importo suscettibile di revoca.
Non può trovare accoglimento l'appello incidentale della curatela, con il quale si lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria, atteso che nel periodo in contestazione il saggio degli interessi legali è stato notoriamente superiore al tasso di inflazione.
In considerazione del parziale accoglimento dell'appello principale e del rigetto di quello incidentale si reputa equo compensare per un quarto tra il Banco di Sicilia e la curatela le spese dei due gradi del giudizio, spese che per i rimanenti tre quarti vanno poste a carico del primo e, per quanto riguarda questo grado, liquidate come da dispositivo, avuto riguardo al valore della controversia ed alle attività svolte. (Omissis)
Ricorrono giusti motivi per compensare interamente le spese di appello tra la Sicilcassa in liquidazione coatta amministrativa e la curatela fallimentare.
P.Q.M.
la Corte, definitivamente pronunziando sull'appello proposto dal Banco di Sicilia soc. per az. avverso la sentenza del Tribunale di Catania del 9 dicembre 1998, con atto notificato il 14 aprile 1999 alla Sicilcassa soc. per az. in liquidazione coatta amministrativa ed alla curatela del fallimento della Autoetna di Patanè Salvatore, nonché sugli appelli incidentali di questi ultimi, rigetta gli appelli incidentali e, in parziale accoglimento dell'appello principale, riduce a lire 157.564.230 (lire centocinquantasettemilioni- cinquecentosessantaquattromiladuecentotrenta), oltre gli interessi legali dalla domanda, la somma alla cui restituzione il Banco di Sicilia, Divisione Sicilcassa, è stato condannato in favore della curatela fallimentare e compensa per un quarto le spese del giudizio di primo grado tra la curatela ed il Banco di Sicilia; conferma nel resto l'impugnata sentenza e condanna il Banco di Sicilia a rimborsare alla curatela i tre quarti delle spese del giudizio di appello, che per la rimanente parte compensa tra le dette parti e che, nell'intero, liquida in lire 1l.490.000, ivi comprese lire 2.970.000 per competenze di procuratore e lire 8.000.000 per onorari di avvocato; compensa le spese del giudizio di appello tra la curatela e la Sicilcassa soc. per az. in liquidazione coatta amministrativa.
Così deciso in Catania, nella camera di consiglio della sezione civile del- la Corte di Appello, il 26 maggio 2000.