Diritto dei Mercati Finanziari


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 267 - pubb. 01/07/2007

Avvertenza scritta di alto rischio e disinvestimento

Tribunale Modena, 07 Febbraio 2006. Pres. Salvatore. Est. Gherardi.


Intermediazione finanziaria – Doveri informativi dell’intermediario - Avvertenza apposta sull’ordine di acquisto – Clausola di stile – Eslcusione


Intermediazione finanziaria – Doveri informativi dell’intermediario – Monitoraggio dell’andamento dei titoli – Esclusione



La dicitura “alto rischio” apposta sull’ordine di acquisto, accompagnata dalla informazione, resa verbalmente dal funzionario della banca, che tale dicitura doveva intendersi riferita alle possibili oscillazioni di valore delle obbligazioni Parmalat, non può essere considerata clausola di stile e, con riferimento al caso specifico, è idonea ad assolvere agli obblighi informativi dell’intermediario.


In presenza di semplici disposizioni di negoziazione di prodotti finanziari ed in assenza di un contratto di gestione patrimoniale, si deve escludere che l’intermediario abbia l’obbligo di monitorare l’andamento dei titoli presenti nel portafoglio dei clienti e quindi di consigliare loro l’eventuale disinvestimento.



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con atto di citazione B. U., P. G. e B. A. convenivano in giudizio la Banca Popolare della Emilia Romagna s.c.a.r.l. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti dagli attori a causa del comportamento negligente della convenuta ed in violazione dei doveri di buona fede e diligenza contrattuali.

Esponeva, in particolare, parte attrice di essersi determinata all'investimento in titoli Parmalat a seguito delle rassicurazioni ricevute da un dipendente della Banca, sig. B., circa la sicurezza dell'investimento, oltre alla rassicurazione che la dicitura di titolo ad "alto rischio" riportata sull'ordine di acquisto, fosse una clausola di stile, inserita anche per altri ordini relativi a titoli aventi rating più elevato di quelli per cui è causa.

Contestavano, quindi, principalmente gli attori il mancato rispetto del dovere di informazione da parte dell'Istituto Bancario, unitamente alla violazione della lealtà e della buona fede negoziale, che non avrebbero consentito loro di valutare in modo pieno e consapevole la natura dell'investimento proposto e la opportunità di tale scelta. Contestavano inoltre gli attori di non avere ricevuto il documento inerente i cd "rischi generali". Ulteriore contestazione riguardava la negligenza della Banca nell'avere trascurato di raccogliere informazioni circa la situazione economico-finanziaria del Gruppo Parmalat e nel non avere consigliato la vendita dei titoli Parmalat nel dicembre del 2003, sebbene indicazioni in tal senso fossero state richieste dal B. al B. nell'ambito di una conversazione telefonica.


Costituitasi in giudizio, la convenuta Banca Popolare dell'Emilia Romagna s.c.a.r.l. chiedeva la reiezione delle domande attoree, in particolare, deducendo che:

1) la scelta della tipologia di investimento era stata effettuata autonomamente e in via esclusiva dagli attori. Ciò, anche in considerazione del rapporto di deposito titoli in amministrazione e non di gestione patrimoniale che gli attori avevano con la Banca, in base al quale nessun potere discrezionale/valutativo, né alcun rapporto di consulenza si instaura tra le parti: gli ordinativi sono unicamente il frutto delle direttive impartite dai clienti, senza ulteriore attività di assistenza e gestione dei titoli da parte della Banca successivamente all'acquisto;

2) il default del Gruppo Parmalat non era conosciuto né era conoscibile con l'uso della ordinaria diligenza nel mese di luglio 2001 - allorquando cioè gli attori si determinarono a tale operazione finanziaria, né le più autorevoli agenzie di rating facevano pensare a un tale possibile tracollo;

3) le caratteristiche dei citati titoli furono debitamente illustrate alla cliente prima dell'investimento, in base ai dati economico - finanziari conoscibili in quel dato momento storico;

4) gli attori non erano "ingenui risparmiatori", tanto in ragione delle disponibilità finanziarie che avevano già da tempo in deposito presso Ia stessa Banca, quanto in considerazione del fatto che anche in passato aveva sempre deciso autonomamente le tipologie di investimento da fare, senza mai usufruire del servizio di gestione patrimoniale titoli.


Instauratosi regolarmente il contraddittorio fra le parti, previo scambio degli atti difensivi di rito ex artt. 6 ss. D. L.gs 5/2003 e repliche, era celebrata l'udienza di comparizione delle parti, ove si dava atto della impossibilità di addivenire ad una soluzione conciliativa della vertenza, il Collegio con ordinanza rigettava l'istanza relativa all'inammissibilità dell'istanza di fissazione di udienza e confermava, quanto ai mezzi di prova ammessi, il decreto emesso dal giudice relatore a seguito del deposito dell'istanza di fissazione di udienza, delegando quest'ultimo per l'assuzione. All'udienza dell'11 ottobre 2005 erano escussi i testi e parte convenuta rinunciava al seppure ammesso interrogatorio formale degli attori, pure presenti.

Su richiesta congiunta delle parti, erano concessi termini per il deposito di note riepilogative, all'udienza collegiale del 20 gennaio 2006, si procedeva, alla discussione orale e la causa era trattenuta dal Collegio per la decisione.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Preliminarmente occorre rilevare come non possa tenersi conto delle conclusioni formulate da parte attrice nell'ambito della memoria riepilogativa autorizzata datata 30/12/2005, nella parte in cui risultano diverse rispetto a quelle formulate in atto di citazione, in quanto non tempestivamente modificate.

In ogni caso questo Collegio fa suo l'orientamento prevalente della giurisprudenza di merito, nonché della CONSOB e ritiene non in conflitto di interessi la cd "vendita in contropartita diretta".

Fa' proprio il giudicante quell'orientamento che, in generale, qualifica l'omessa comunicazione di informazioni da parte della Banca in termini di inadempimento contrattuale, (così di recente: Tribunale di Roma, Sez. II^, sentenza 25 maggio 2005 ).

I citati obblighi legali di comportamento e di informazione, c.d. "suitability rule", acquisiscono rilevanza in termini di esatta esecuzione del rapporto contrattuale concluso fra le parti.

L'avvenuto rispetto dei predetti ed il relativo onere della prova grava in capo alla Banca convenuta, ai sensi dell'art. 23, 6° co, T.U.I.F. il quale espressamente prevede che nei giudizi di risarcimento del danno è onere del soggetto abilitato dimostrare di avere agito con la "specifica diligenza richiesta".

Tale ultima locuzione porta con sé problematiche interpretative di non poca complessità, in quanto è in base ad essa che si deve misurare il grado di esigibilità del comportamento richiesto all'intermediario.

Il riferimento alla "specifica diligenza" evoca un necessario riferimento al caso concreto non potendosi individuare un comportamento standard sempre e comunque uguale. È vero inoltre che lo stesso art. 21 fa' riferimento a criteri volutamente ampi di adeguatezza e correttezza che non possono che sostanziarsi, volta per volta, in base alle caratteristiche del risparmiatore e del regolamento negoziale prescelto, (intermediazione mobiliare, gestione patrimoniale, ecc...).

Ciò, in quanto, opinando diversamente e facendo leva solo sulle clausole generali di buona fede e correttezza contrattuale, senza tenere presente la natura del contratto stipulato, si potrebbe addivenire in via ad un'alterazione dello stesso schema negoziale prescelto dalle parti il quale, salvo ogni eventuale vizio di volontà, è il frutto di una libera scelta e rappresenta il limite entro cui valutare il comportamento doveroso della controparte.

Obbligo di informazione, dunque, da leggersi quale obbligo di protezione accessorio rispetto a quello principale di prestazione, (nel nostro caso: l'esecuzione dell'ordine di acquisto dei titoli), da valutarsi nei limiti dei poteri-doveri che lo schema contrattuale perfezionato conferisce a ciascuna delle parti.

Passando alla disamina del caso di specie, per quanto infra motivando, i predetti obblighi di informazione devono ritenersi assolti con conseguente infondatezza della domanda risarcitoria qui azionata.Il funzionario che procedette alla predisposizione dell'ordine di acquisto, in sede di prova per testimoni ha dichiarato di escludere di avere affermato che la dicitura "alto rischio" fosse una clausola di stile, specificando che la stessa non si riferisce in ogni caso ad un rischio di insolvenza dell'emittente, bensì alle possibili oscillazioni del titolo in relazione alla durata pluriennale dello stesso. Nessun elemento probatorio in contrasto con tale dichiaraione è emerso nel corso dell'istruttoria. Vero è che essendo egli tenuto ad un'obbligazione di mezzi e non di risultato, era certamente obbligato a comunicare la situazione dei titoli in quel dato momento storico e le loro caratteristiche peculiari (l'ordine risale al mese di luglio 2001).

È insito nella stessa natura di investimento azionario-obbligazionario la possibile oscillazione verificabile nel corso del tempo, di cui era stata data contezza ai medesimi attori mediante la consegna del documento rischi generali, consegna che, dopo una prima contestazione di parte attrice ed il deposito dello stesso da parte convenuta, è data per pacifica da entrambe le parti.

Le stesse agenzie di rating davano il titolo Parmalat come ancora positivamente negoziabile a parecchi mesi successivi all'acquisto ed il rating attribuito al medesimo titolo rimase tripla B praticamente sino all'avvenuto default del Gruppo.

Si consideri inoltre che - così come risultante da contabile bancaria prodotta in atti dalla convenuta - gli attori incassarono cedole, per un primo periodo di circa due anni, sino al default della Parmalat, con ciò avvalorandosi il fatto che, al momento dell'ordine nel mese di luglio 2001, tali titoli erano ancora meritevoli di collocazione sui mercati regolamentati.

L'obbligo di informazione c.d. attiva della banca in epoca precedente la stipulazione dell'ordine deve dunque dirsi adempiuto, in ragione del tenore del colloquio intercorso fra le parti, della natura delle informazioni comunicate e della loro corrispondenza alla specifica diligenza richiesta nel periodo storico in esame.

Quanto alla mancanza di diligenza attribuita alla Banca che, nel corso del colloquio telefonico del 9/12/2003, non ha consigliato agli attori di vendere i titoli Parmalat dagli stessi posseduti, così come appare confermato in sede di testimonianza resa dal teste Righetti, si osserva come, innanzi tutto, in caso di deposito titoli in custodia non vi sia alcun obbligo per l'intermendiario di monitorare l'andamento dei titoli nel portafoglio clienti, non essendo un contratto di gestione patrimoniale. In ogni caso si ritiene che, alla data del 911212003, ancora non fosse evidente - neppure agli operatori del settore - lo stato di crisi in cui la Parmalat versava, tanto che ancora in data 12/12/2003 (doc. 19 attori) le Banche concessero ulteriori finanziamenti al Gruppo Parmalat e che, nello stesso periodo, fu pagato un bond in scadenza 8/12/2003 per l'importo di € 150.000.000,00.

Si rileva inoltre come i bilanci Parmalat fossero oggetto di certificazione da parte di società di revisione che mai hanno rilevato anomalie in tali bilanci e come la stampa specializzata consigliasse di comprare i titoli Parmalat, all'epoca dell'acquisto e in quella successiva (si veda documentazione fascicolo convenuta). Del resto è noto come il tracollo del Gruppo Parmalat sia dovuto a comportamenti fraudolenti di diversi soggetti tuttora al vaglio dell'autorità penale, che certamente non erano conosciuti o conoscibili da parte della Banca convenuta, nella sua qualità di intermediario finanziario.

Si rileva infine, come anche gli obblighi di documentazione contrattuale siano stati adempiuti, essendo stato documentazione il rifiuto dei clienti di fornire le informazioni di cui all'art. 28 lett. a), delibera Consob 1998; avendo le parti stipulato per iscritto il contratto di investimento ed essendo stato consegnato ai clienti il documento sui rischi generali dello stesso, attività tutte documentate dalla convenuta e non contestate ex adverso.

Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 cpc.


P.Q.M.


Il Tribunale di Modena, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al N. 4530/2004 R.G. sulle domande proposte da B. U., G. P. e B. A. nei confronti di Banca Popolare dell'Emilia Romagna, in persona del Vice - Presidente e legale rappresentante pro - tempore Baldoni Carlo, così provvede:

RIGETTA le domande;

CONDANNA B. U., G. P. e B. A., in solido tra loro, al pagamento nei confronti della Banca Popolare dell'Emilia Romagna delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 6487,32, di cui € 2800,00 per onorari, €2.795,00 per competenze ed E 892,32 per spese, oltre IVA, CPA  e spese generali.


Così deciso in Modena il 20 gennaio 2006.

IL GIUDICE ESTENSORE
Adriana Gherardi

IL PRESIDENTE
Emilia Salvatore